Vita Chiesa

Giubileo: Indulgenza plenaria appiana conti con Dio

Parla il card. Angelo De Donatis, penitenziere maggiore: "Il fedele che adempie alle condizioni stabilite e ottiene l’indulgenza è come se uscisse di nuovo, in quel momento, dal fonte battesimale, tornando cioè allo stato di grazia originale del Battesimo"

Porta Santa (foto Siciliani-Gennari/Sir)

“Amministrare la misericordia, dalla prospettiva della Penitenzieria, significa veramente sperimentare quanto sia infinito l’amore del Padre per ognuno di noi”. Il card. Angelo De Donatis, penitenziere maggiore, spiega le nuove norme per ottenere l’indulgenza durante il Giubileo 2025.

Eminenza, Lei è alla guida di un organismo speciale all’interno della Chiesa: il Tribunale della Misericordia.
La Penitenzieria Apostolica è l’organismo della Curia Romana che si occupa di amministrare la misericordia di Dio a nome e per conto del Santo Padre. È perciò un tribunale, ma un tribunale del tutto speciale: la sua giurisdizione, infatti, si estende sul solo foro interno, cioè l’ambito intimo dei rapporti tra il fedele e Dio, e non ha ricadute nella sfera pubblica. Questo conferisce al suo agire alcune caratteristiche peculiari – l’iniziativa libera da parte del fedele, la assoluta riservatezza, la natura giuridica remissiva – che lo rendono a tutti gli effetti un “Tribunale della Misericordia”: l’unica sentenza che può essere emessa è il perdono, la dispensa, la grazia! Lo stesso Papa Francesco, qualche anno fa, ha riconosciuto che “questo della Penitenzieria è il tipo di Tribunale che mi piace davvero! Perché è un ‘tribunale della misericordia’, al quale ci si rivolge per ottenere quell’indispensabile medicina per la nostra anima che è la Misericordia Divina!”.

Cosa significa amministrare la misericordia?
La Penitenzieria Apostolica nel foro interno concede principalmente l’assoluzione dalle censure riservate, la dispensa dalle irregolarità per ricevere o esercitare il sacramento dell’Ordine ed altre grazie, normalmente per il tramite dei confessori. Essa è inoltre competente per la concessione e l’uso delle indulgenze, che potremmo definire un “surplus” della misericordia divina e che saranno al centro in maniera particolare del prossimo tempo giubilare. Posso perciò testimoniare che amministrare la misericordia, dalla prospettiva della Penitenzieria, significa veramente sperimentare quanto sia infinito l’amore del Padre per ognuno di noi e quanta sia sconfinata la compassione di un Dio che non si stanca mai di riabbracciare a sé il figlio che si era perduto, per quanto grande sia stata la sua colpa, per quanto lontano egli si sia allontanato!

Il Giubileo alle porte sarà anche un tempo di grazia personale?
Certamente, l’auspicio del Santo Padre e di tutta la Chiesa è che il prossimo Anno Santo possa essere vissuto da ciascuno come un tempo propizio, un vero anno di grazia per riscoprire l’intimità con il Signore, attraverso le molteplici occasioni offerte e, soprattutto, nella preghiera personale e comunitaria. Proprio per recuperare il desiderio di stare alla presenza del Signore, ascoltarlo e adorarlo, Papa Francesco ha voluto che il Giubileo del 2025 fosse preparato da un anno particolarmente dedicato alla preghiera.

Perché un Anno della preghiera?
Grazie alla preghiera potremo arrivare con cuore pronto ad accogliere i doni spirituali che il Giubileo offre e sperimentare così la tenerezza dell’amore di Dio nel sacramento della Riconciliazione e nell’ottenimento delle Indulgenze. Ogni battezzato, rinnovata e vivificata la propria relazione con Dio, si farà a sua volta testimone con i suoi fratelli e le sue sorelle, vivendo la legge dell’amore nei diversi ambiti in cui si trova. Nessuno sforzo verso il mondo avrà successo se prima non avviene in ciascuno di noi l’incontro personale con il Creatore, in un dialogo “cuore a cuore” capace di trasformare la vita.

Nella Bolla di Indizione, il Santo Padre parla di un momento storico in cui “immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza” e chiama tutti i cristiani a farsi pellegrini di speranza. Cosa significa?
Tutti i Giubilei portano in sé un anelito di speranza, l’occasione per ristabilire il giusto rapporto con Dio e con i fratelli. Papa Francesco però ha voluto richiamare i fedeli ancor più esplicitamente, nel prossimo Anno Santo, a farsi pellegrini di speranza. Questo perché gli eventi politici e sociali che stiamo vivendo a livello mondiale – penso alle tante guerre vicine e lontane, alle violenze perpetrate contro vittime innocenti, alle difficoltà economiche dovute allo sfruttamento e all’ingiustizia sociale – sembrano contraddire e soffocare in tutti i modi questo orizzonte di speranza. Anche a livello personale, quanti di noi sono oppressi dalle preoccupazioni, dalla mancanza di lavoro, dalle difficoltà affettive e familiari al punto da aver smarrito, in alcuni casi, la speranza di risollevarsi. La ricorrenza giubilare ci vuole mostrare che un mondo diverso è possibile, se si ha Cristo nel cuore e se si fa di Lui la bussola sulla quale orientare tutta la nostra vita, la pietra sulla quale fondare la nostra speranza.

Un Anno Santo per ricominciare?
L’Anno Santo può essere veramente un anno di Grazia e di grande rinnovamento, personale e comunitario. Solo qualche giorno fa, rivolgendosi ai detenuti e al personale del carcere di Montorio, presso Verona, il Santo Padre incoraggiava gli ascoltatori con queste parole: “Tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno della nostra vita”. Facciamo nostre queste parole, custodiamole nel nostro cuore!

Qual è la differenza tra l’assoluzione sacramentale della confessione e l’ottenimento dell’indulgenza plenaria?
Fin dal primo Giubileo della storia, quello del 1300, Papa Bonifacio VIII ha voluto che l’indulgenza giubilare potesse ottenere ai pellegrini la cancellazione non solo del peccato – che si ottiene ordinariamente con la confessione sacramentale – ma anche di tutte quelle “scorie” che ci portiamo dietro come conseguenza del peccato. A livello tecnico, la Chiesa definisce l’indulgenza come la remissione delle pene temporali per i peccati commessi. Anche dopo l’assoluzione sacramentale della colpa, infatti, rimangono le conseguenze per i peccati commessi e il dovere della riparazione in capo al penitente. L’indulgenza condona anche questi debiti, appiana tutti i conti rimasti in sospeso con Dio. In pratica, il fedele che adempie alle condizioni stabilite e ottiene l’indulgenza è come se uscisse di nuovo, in quel momento, dal fonte battesimale, tornando cioè allo stato di grazia originale del Battesimo. Un vero miracolo della grazia!

L’indulgenza plenaria, dunque, come segno tangibile della misericordia di Dio?
Potremmo definire l’indulgenza come il dono totale e pienissimo della misericordia di Dio, a complemento, in un certo senso, del perdono delle colpe che riceviamo quando il sacerdote ci assolve dai peccati. Essa è il segno di come l’amore di Dio ecceda in ogni caso tutto il possibile male compiuto dall’uomo. La concessione dell’indulgenza giubilare è una prerogativa propria del Papa in quanto successore dell’apostolo Pietro, al quale Gesù ha promesso: “Tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,9). Egli attinge questo “surplus” di misericordia divina, che ottiene non solo il perdono dei peccati ma anche la remissione delle pene temporali ad essi legate, dall’infinito tesoro spirituale della Chiesa, costituito dal sacrificio di Cristo sulla croce e dai meriti di Maria SS.ma e di tutti i santi.

In un mondo così segnato dalla corporeità, è difficile immaginare che si possano ottenere benefici per l’anima. Eppure l’indulgenza ricorda a tutti che c’è una dimensione interiore che deve essere coltivata…
È oggi quanto mai urgente ritrovare la dimensione spirituale, in un contesto che in ogni modo tende a mettere al primo posto, invece, i desideri del corpo, così che a volte abbiamo la sensazione di essere ripiegati sulle cose della terra e sempre più incapaci di alzare gli occhi al cielo. Le indulgenze sono un prezioso strumento che ci aiuta a riscoprire questa dimensione spirituale. Penso alle indulgenze che possiamo facilmente conseguire durante la giornata attraverso semplici pratiche, per esempio recitando una giaculatoria, compiendo un piccolo gesto penitenziale o un atto di carità, dedicando un breve tempo per la lettura di un brano delle Scritture. Tutti questi atti, ai quali è connessa l’indulgenza parziale come previsto dall’Enchiridion indulgenziarum, ci aiutano a mantenere il nostro cuore sintonizzato con quello di Gesù, a non farci distrarre dalle numerose occupazioni che scandiscono la nostra giornata. Questo vale a maggior ragione nel caso dell’indulgenza plenaria legata al Giubileo. Prendiamo solo l’immagine del pellegrinaggio, fin da subito indissolubilmente legata alle pratiche giubilari: chi si mette in cammino intraprende (anche fisicamente) un’esperienza di conversione, di ri-orientamento della propria vita verso la santità.

Ma l’indulgenza non riguarda soltanto l’aspetto spirituale?
La pratica delle indulgenze riesce a coniugare in splendida sintesi entrambe le dimensioni della persona: quella spirituale e quella corporale. Sarebbe infatti altrettanto riduttivo prediligere esclusivamente l’aspetto spirituale, ignorando del tutto i bisogni fisici e materiali che tutti noi abbiamo. La sapienza della Chiesa ha sempre insegnato il giusto equilibrio tra le due componenti e non a caso, nelle Disposizioni emanate dalla Penitenzieria Apostolica per l’ottenimento dell’indulgenza nel prossimo Anno Santo, essa viene concessa, per esempio, a quanti compiono opere di carità e di misericordia, anche corporale, nei confronti dei fratelli. Potremo così realizzare l’auspicio di Papa Francesco di “essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio” (Spes non confundit, 10).

Perché tra le opere di penitenza è stata prevista anche l’astinenza di almeno un giorno da futili distrazioni “reali ma anche virtuali, indotte ad esempio dai media e dai social network”?
Distaccarsi per un certo tempo dalle nostre tante occupazioni, talvolta superflue, e dagli innumerevoli stimoli che la società odierna ci propone, soprattutto attraverso i dispositivi digitali e i social network a cui difficilmente rinunciamo, significa fermarsi a riscoprire quell’“unum necessarium” indicato da Gesù: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,41-42). Si tratta di un esercizio assai utile, una pratica di penitenza che, tuttavia, non deve essere intesa come fine a sé stessa: essa vuole permetterci di fissare lo sguardo su Gesù Cristo lasciando da parte tutto il resto. Il fine di una auspicata riscoperta del silenzio e dell’interiorità, infatti, non è un ripiegamento sterile su di sé, ma la predisposizione all’incontro con Colui che ci viene ad abitare. La nostra cella interiore – come tanti santi e mistici hanno indicato la nostra intimità – diventa così una “porta santa” spalancata verso il Cielo.

È anche un’opportunità per riappropriarsi del tempo troppe volte mal impiegato?
L’astinenza dalle futili distrazioni è anche un invito a restituire valore al tempo. Esso è l’unico bene che non possiamo acquistare. Spesso ci lamentiamo di non aver mai tempo per pregare o per ritagliarci dello spazio per stare da soli con il Signore. Ma se proviamo a riflettere quanti minuti sprechiamo durante le nostre giornate, ci rendiamo conto di come avremmo potuto amministrare diversamente il nostro tempo e di quanti momenti avremmo potuto dedicare a Dio e al prossimo! 

L’indulgenza plenaria ha un grande valore anche per le anime del Purgatorio?
Il fondamento teologico delle indulgenze risiede nella dottrina della communio sanctorum, perché esse attingono a quel tesoro inesauribile di grazia costituito dai meriti di Cristo, della Vergine Maria e di tutti i martiri e i santi che popolano la storia bimillenaria della Chiesa, in una sorta di commercio tutto spirituale. Questo collegamento tra la Chiesa pellegrinante sulla terra e la Chiesa trionfante in paradiso si apre anche alla Chiesa purgante, formata dai battezzati che devono ancora compiere un cammino di purificazione prima di giungere alla piena visione beatifica. La Chiesa prevede perciò fin dalle origini la possibilità di applicare l’indulgenza non per sé stessi, bensì a favore di un defunto. Si tratta di un gesto altissimo di pietà e di amore, che non si pone in contrasto con la libertà personale – si può ottenere l’indulgenza solo per sé o per un fedele defunto, non per un altro uomo ancora in vita che, in quanto creato libero, può scegliere personalmente di accogliere o meno il dono della misericordia – ma che realizza un vincolo di carità per quanti non possono più meritare sulla terra.