Cultura & Società

Giubbi, ecco le prove dell’innocenza

DI PAOLO MORELLImembro della Commissione di studio Sabato scorso, 14 giugno, a San Miniato, nell’Aula Pacis del complesso parrocchiale di S. Domenico, è stato presentato il volume contenente la relazione finale della Commissione di studio istituita dall’attuale vescovo, mons. Edoardo Ricci, per studiare la figura del suo predecessore Ugo Giubbi protagonista suo malgrado di vicende dolorosissime. Come è noto, il 22 luglio 1944 una cinquantina di persone rimase uccisa nella cattedrale di San Miniato in seguito ad un’esplosione sulla cui natura ancora non sembra esservi concordanza di opinioni: fu subito detto che si trattava di una carica esplosiva fatta brillare deliberatamente dai militari tedeschi per uccidere quella gente, ma ora sta prendendo corpo l’ipotesi che si sia trattato di uno o più proiettili d’artiglieria, probabilmente alleati (il fatto avvenne proprio nel corso di un cannoneggiamento); in ogni caso, al di là di questa discussione (la Commissione non ha espresso pareri in materia, perché non di sua pertinenza), dato che il ricovero in duomo di quelle persone era stato concordato dal vescovo con il comando germanico, si sparse subito la diceria che egli fosse a conoscenza delle intenzioni stragiste dei Tedeschi e che le condividesse: a nulla valsero le conclusioni di una commissione d’inchiesta appositamente istituita dall’amministrazione comunale democratica che, pur addebitando ai Tedeschi la responsabilità della strage, definì l’operato del clero sanminiatese, e dunque anche del vescovo, in quei frangenti «superiore ad ogni elogio»: l’immagine del vescovo collaborazionista divenne un luogo comune negli anni della «guerra fredda» ed ha finito per diffondersi e radicarsi ben oltre i confini di San Miniato.Sul Giubbi già alcuni anni fa aveva scritto pagine illuminanti mons. Vasco Simoncini (San Miniato e la sua Diocesi, Tirrenia 1989), ma essendo opera del vicario generale della diocesi, per di più uno dei preti formatisi durante l’episcopato del Giubbi, poteva insinuarsi l’idea che si trattasse di una visione partigiana dei fatti, e per questo l’anno scorso il vescovo Ricci prese la decisione di affidare ad un gruppo di ricercatori di varia estrazione culturale il compito di studiare la documentazione esistente e di renderla pubblica. La Commissione, costituita da Paolo Pezzino e Andrea Landi dell’Università di Pisa, Roberto Cerri, direttore dell’Archivio storico comunale, Filiberto Scorzoso, archivista vescovile, e dal sottoscritto, in qualità di insegnante di Storia della Chiesa nella Scuola di Formazione Teologica diocesana, ha lavorato in perfetta autonomia e con grande affiatamento, producendo alla fine quella relazione che sabato 14 è stata presentata ad un pubblico numeroso e attento da Anna Scattigno dell’Università di Firenze. La Commissione, occupandosi soprattutto della «collocazione pubblica» del Giubbi, «ed in particolare dei suoi rapporti con le autorità civili e politiche», ha messo in evidenza come egli, divenuto vescovo molto giovane (42 anni) alla vigilia della firma dei Patti Lateranensi, fosse stato entusiasmato dalla Conciliazione in cui vedeva la possibilità di una rinascita religiosa dell’Italia. Ciò lo aveva portato anche a sostenere il regime fascista, in cui vedeva la restaurazione dell’ordine dopo gli anni dell’anticlericalismo massonico e socialista, un ordine in cui la Chiesa vedeva di nuovo riconoscersi un ruolo sociale. Anna Scattigno, che già a suo tempo aveva studiato l’attività del card. Mistrangelo, l’arcivescovo fiorentino sotto il cui episcopato si era formato il Giubbi e che lo ordinò sia prete che vescovo, ha analizzato questi aspetti della personalità di mons. Giubbi, presentandoli come l’esito di una corrente «intransigente» presente nel clero fiorentino fin dagli anni di Porta Pia ed ancora viva nei primi decenni del XX secolo. In quest’ottica intransigente va letta anche l’adesione del Giubbi al progetto esposto da Pio XI nell’enciclica Quas primas di un «regno sociale» di Cristo, di una società, cioè, pienamente conforme ai principi cristiani; e ancora in quell’ottica va visto l’impegno di questo vescovo per la diffusione dell’Azione Cattolica, intesa come «braccia offerte alla mente e al cuore del Sacerdozio». Giubbi vide quindi nell’Italia fascista una «nazione moralmente sana» che aspirava giustamente ad espandersi e nell’ostilità di altre nazioni europee vide il complotto di forze massonico-protestanti contro una nazione cattolica e contro la Chiesa stessa. Collaborò volentieri con le autorità del regime, ma, come scrisse egli stesso, «senza servilismo», consapevole com’era del suo ruolo e della sua autorità di vescovo.Nel 1938, però, il suo rapporto col fascismo entrò in crisi: proprio in coincidenza con il Congresso Eucaristico diocesano fu chiuso il settimanale diocesano «La Domenica» sia perché il giornale da tempo aveva preso posizione contro il razzismo dei Nazisti – ed in quel periodo l’Italia si stava sempre più avvicinando alla Germania hitleriana – sia perché l’impulso dato dallo stesso vescovo all’Ac contrastava con il totalitarismo dello stato fascista. Da quel momento l’esaltazione del regime scomparve negli interventi del Giubbi e a poco a poco vi si sostituì un crescente pessimismo, alimentato dalla percezione dei disastri a cui stava andando incontro l’Italia nell’avventura della II guerra mondiale.

Tuttavia il Giubbi rimase coerente con se stesso: il radicato senso dell’autorità lo indusse ad esortare i fedeli alla disciplinata obbedienza allo scoppio del conflitto, così come chiederà obbedienza per il governo Badoglio e più tardi per le autorità anglo-americane e per le autorità democraticamente elette; però altrettanta obbedienza chiese per l’effimera Repubblica Sociale, da lui riconosciuta come autorità pur sempre necessaria, e ciò sicuramente gli alienò le simpatie della gente, non solo perché ormai avverse al fascismo, ma anche perché la sua esortazione indusse alcuni giovani a rispondere alla leva dell’esercito repubblicano, trovandovi poi la morte.

Infine vi furono i fatti del 22 luglio e la calunnia che ne seguì, nonostante i molteplici e documentati interventi del Giubbi per salvare la città e per liberare persone di San Miniato e dintorni destinate alla fucilazione o alla deportazione (un episodio è stato ricordato con commozione al termine dell’esposizione della Scattigno da uno dei protagonisti ancora vivente). Non meno doloroso dell’umiliazione a cui fu sottoposto negli ultimi giorni della sua vita (morì il 23 settembre 1946) fu per lui vedere crollare il progetto del «regno sociale di Cristo», vedere il risorgere dell’anticlericalismo e dell’ateismo che aveva creduto debellati grazie a Mussolini; purtroppo non poté vedere la rinascita dall’Italia dalle rovine della guerra proprio grazie ad un contributo determinante di quei cattolici che nell’Azione Cattolica avevano ricevuto la loro formazione.

Il vescovo Ricci, presentando l’opera della Commissione, pur sottolineando le doti pastorali del Giubbi che comunque emergono da quelle pagine (fu il vescovo del rinnovamento liturgico, del rinnovamento della catechesi e della ripresa delle vocazioni sacerdotali), non ha esitato a dire che, ammaestrata dall’esempio di Giovanni Paolo II, «la chiesa locale sanminiatese non ha difficoltà a chiedere perdono per certe parole o certi gesti di un suo vescovo di cinquanta anni fa, che oggi possono urtare la nostra sensibilità, ma che, non dimentichiamolo, erano in piena sintonia con i sentimenti della maggior parte degli Italiani di allora; però giustizia vorrebbe che l’intero popolo di San Miniato avesse il coraggio di chiedere perdono per le sofferenze che ha causato ad un uomo buono e totalmente disinteressato quale fu il Giubbi, sebbene neanche in questo caso si debba dimenticare quale fosse il clima ed il linguaggio politico di allora, tutt’altro che ispirato al “buonismo” di oggi». Il sindaco di San Miniato, Angelo Frosini, prendendo la parola al termine dell’esposizione della prof. Scattigno, dal canto suo, pur sottolineando come le idee manifestate dal Giubbi a più riprese appaiano «molto distanti dai valori che stanno alla base della nostra democrazia moderna, forse troppo distanti», ha riconosciuto che «il vescovo Giubbi è stato vittima di accuse pesantissime» ed «è giusto che a queste accuse si metta la parola fine» e «non se ne parli davvero più»; infine ha espresso vivo apprezzamento per il fatto «che la Diocesi, per ricordare un suo pastore che ha vissuto un momento così tragico gli abbia dedicato il complesso di Santa Caterina, realizzato in accordo con l’Amministrazione comunale». Destinata ad accogliere famiglie in difficoltà, «Casa Ugo Giubbi» viene inaugurata domenica 23 giugno.Giubbi, nessuna colpa per la strage