Italia
Giù le mani dalla domenica
In Italia, tra l’altro, l’accordo tra la Repubblica e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, che ha rivisto il Concordato, ha riconosciuto come giorni festivi tutte le domeniche. Difficile quindi che il nostro Paese potesse decidere diversamente. E non l’hanno fatto neanche i nostri partner europei, ad eccezione della Francia, come noi finita dietro la lavagna per non aver recepito in tempo la direttiva. Tutti quanti hanno confermato senza indugi la domenica come «giorno di riposo preferenziale».
Eppure sotto sotto il problema esiste. Ad alcune parti sociali (in particolare ai commercianti, ma anche agli industriali) farebbe molto comodo che il giorno festivo non fosse più fisso, così smetterebbero di pagare come straordinario il lavoro domenicale. Perché poi il vero nodo è prevalentemente economico. Ormai c’è già un piccolo esercito di persone costrette a non santificare la festa. Tra grande distribuzione e negozi che ottengono la deroga perché in aree turistiche, è quasi più facile far la spesa di domenica che negli altri giorni.
Per una volta tanto anche i politici si sono dimostrati compatti, da An a Rifondazione. E al sottosegretario Sacconi, smentito anche dal suo ministro, il leghista Roberto Maroni, non è restato altro che far marcia indietro. Ovvero, nella migliore delle tradizioni del politichese, evocare l’«ennesima provocazione orchestrata dai soliti noti».
Archiviata la polemica e dissipati gli equivoci, il problema resta però tutto, almeno per la comunità cristiana. Come ha osservato l’arcivescovo di Bari mons. Francesco Cacucci, che nel 2005 organizzerà il Congresso eucaristico nazionale proprio sul tema «Senza la domenica non possiamo vivere», «non ci si deve comunque limitare alla denuncia: il senso della domenica deve essere vissuto in modo nuovo. È necessario dunque riscoprire la domenica come giorno di festa perché giorno del Signore. La domenica e la parrocchia come tempo e spazio per una comunità di fede sono valori irrinunciabili anche per la nostra cultura».
Questa disposizione è stata annullata dalla Corte di giustizia della Comunità europea nel 1996, sulla considerazione che il Consiglio aveva omesso di motivare la circostanza per cui la domenica, giorno di riposo settimanale, «soddisfi in maggior misura le istanze di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori rispetto ad un diverso giorno della settimana». Sulla questione, in seguito, è intervenuta la risoluzione d’iniziativa del Parlamento europeo del 12 dicembre 1996, con la quale gli Stati membri e le parti sociali sono invitati «a tenere debito conto, nel trasporre in norme di diritto nazionale la direttiva sull’orario di lavoro, delle tradizioni e delle esigenze culturali, sociali, religiose e familiari dei loro cittadini e a riconoscere il carattere particolare della domenica come giorno di riposo». Con la direttiva del 2000 (n. 34) è stata data applicazione alla sentenza della Corte di giustizia del 1996, ritenendo opportuna la soppressione della disposizione che ricomprendeva la domenica nel «periodo minimo di riposo settimanale».
Gli Stati membri dovranno adottare le disposizioni regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 1 agosto 2003. Tredici Paesi dell’Unione hanno già confermato di volere il riposo domenicale. Italia e Francia non hanno ancora deciso. Il nostro Paese rischia di pagare una multa di 238.950 euro al giorno.