Opinioni & Commenti

Gite scolastiche, la Toscana cambia

di Umberto Folena

Fa bene la scuola toscana a guardare fuori della finestra. Osservate, prego. La nostra regione vanta possibilità che nessun altro possiede in Italia. E allora guardiamo bene fuori della finestra, e usciamo. Per scoprire, imparare, stupirci, pensare, divertirci. Se abbiamo capito bene, è il «Viaggio d’istruzione 2.0» come l’ha pensato la Regione Toscana e come l’ha presentato l’assessore Paolo Cocchi.

Il viaggio d’istruzione – a volte sciaguratamente privo d’apostrofo: distruzione – spesso è un’occasione colta e ben sfruttata, a volte è tempo perso; può scegliere mete scontate con un approccio scontato; può essere ricordato più per gli scherzi e i motteggi e gli amorazzi che per le cose viste e sentite. Può, poteva.

Far diventare i viaggi dei laboratori e degli itinerari didattici – e sarebbero ben 2.200 – è un’idea brillante. Dal lago alla pieve, dai pittori agli architetti, dalle foreste alle miniere, dalla scienza alla storia, dalla fauna alle leggende… la Toscana ha tutto ma questo tutto può diventare niente se i bambini, i ragazzi, i giovani non sanno guardarsi attorno, osservare e ascoltare e pensare; se non si domandano perché, perché siamo fatti così e non in un altro modo, perché parliamo e lavoriamo e mangiamo e soprattutto pensiamo in questi modi e non in altri. Tutto dipende da dove veniamo, da dove abitiamo, da chi è vissuto prima di noi e ha modellato la nostra terra in questo modo. Dipende dall’amore che hanno impiegato in tale lunghissima impresa. Dipende dall’amore, o purtroppo dall’indifferenza, con cui bambini, ragazzi e giovani ne terranno conto.

L’idea c’è, il progetto pure. È tutta roba buona. Però non basta. L’occasione va colta dagli insegnanti, che dovranno presentarla ad alunni e studenti con adeguato entusiasmo, preparandoli prima, scegliendo la meta più consona, facendo diventare il viaggio memorabile. E va colta da chi riceve i ragazzi. Una classe delle elementari o delle medie non è la stessa cosa di una comitiva di signore inglesi. Quindi le mete dovranno adeguarsi. Partendo da qui: è la cultura a doversi adattare ai ragazzi, e non viceversa. Ed è chi per vocazione e mestiere ha il compito di far diventare indimenticabile il proprio museo, il proprio sito ecologico, il proprio castello, a doversi chiedere: che cosa passa per la testa di chi arriva? Quali pregiudizi potrebbe avere? Come rimuoverli? Come «catturare» e stupire i miei ospiti?

La cultura, a qualunque età, deve esigere il minor tributo di fatica possibile. Possibilmente, deve «divertire». Occorre che i siti, se sono vecchi, si svecchino. Lavorino di fantasia. S’informino sulle migliori soluzioni escogitate in Italia e all’estero. La cultura deve farsi accogliente.

Nessun alunno deve tornarsene a casa pensando: «Che palle». E nessun operatore culturale deve vederlo partire pensando: «Era l’ora».