Lettere in redazione
«Giovinezza», note stonate a Sanremo
Sono rimasto esterefatto dalla proposta di cantare al Festival di Sanremo «Bella Ciao» insieme a «Giovinezza». Ma scherziamo? Come si può mettere sullo stesso piano una feroce dittatura che ha ucciso, torturato, portato l’Italia alle terribili sofferenze, morti, distruzioni dell’ultima guerra, con il movimento che ha lottato contro quella dittatura, il Fascismo, e contro il suo alleato, il Nazismo che si è macchiato dei peggiori crimini contro l’umanità? Dietro «Giovinezza» si profilano le ombre di Mathausen, Treblinka, Auschwiz. Al canto di «Giovinezza» squadracce nere hanno intimidito, assassinato, torturato, sia in Italia che all’estero, nei paesi chiamati pomposamente «Colonie», per garantirci un impero di cartapesta. La proposta indica una assoluta mancanza di giudizio, di capacità a discriminare il bene dal male, di valutare la storia. Ma cosa si vuol ottenere? Un ridicolo livellamento tra assassini e vittime, tra chi ha portato l’Italia alla rovina e chi ha dato la vita per salvarla? Chi ha fatto questa proposta oscena ha offeso profondamente lo Stato democratico, nato appunto dalla Resistenza, e non è degno di dirigere una iniziativa importante come il Festival di Sanremo. Chiedo pertanto le immediate dimissione dei responsabili. A meno che non si tratti di una maldestra mossa politica. Il che sarebbe ancora peggio.
Il «Festival della Canzone italiana», che si tiene ogni anno a Sanremo, è ormai uno dei programmi «monstre» della Rai. La sua formula è stata dilatata all’inverosimile e gli autori devono inventarsi ogni anno qualcosa per tenere su artificialmente l’audience, dal momento che, passata la settimana sanremese, è proprio dai raffronti di ascoltatori con gli anni precedenti che se ne misura il successo o il fallimento. Solo partendo da qui si capisce perché il direttore artistico Gianmarco Mazzi e il conduttore Gianni Morandi ai quali è affidata l’edizione 2011 abbiano avuto la «bella pensata» di annunciare che avrebbero messo l’uno accanto all’altro l’inno partigiano «Bella Ciao» e quello fascista «Giovinezza», nella serata dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Idea infelice non perché i due brani non possano rappresentare efficacemente due diversi periodi della nostra storia, ma perché il loro utilizzo in quel contesto che non è storico, ma solo di spettacolo sarebbe stato davvero fuorviante. Del resto lo ha riconosciuto prontamente lo stesso consiglio d’amministrazione della Rai che ha disapprovato l’idea «di affrontare, in modo troppo superficiale, questioni così delicate che riguardano la storia del nostro Paese» solo per «la ricerca del clamore», auspicando che «nella serata dedicata ai 150 anni dell’unità d’Italia si proceda in modo serio e responsabile e quindi con criteri diversi». Ma il loro scopo gli organizzatori del Festival l’hanno già ottenuto: far parlare di sé e creare un «caso».