Opinioni & Commenti
Giovani tra impegno e disimpegno
L’Italia appare sempre di più come un paese incerto, confuso, impacciato, disilluso, preso dal torpore, dove prevale un iperindividualismo che alimenta solitudine, favorisce le corporazioni ed eleva a religione la cultura dell’ego. Un paese in cui fa breccia la convinzione che la politica non serve più e che può essere sostituita dalla semplice amministrazione. Si tratta di una specie di accidia e inedia che condizionano pesantemente i percorsi di crescita del Paese e lasciano irrisolti molti problemi.
Si è arrivati a questa situazione attraverso varie fasi: gli anni sessanta e settanta sono stati gli anni della partecipazione e dell’impegno; gli anni ottanta quelli della delega, del disimpegno sociale, della società affluente, del trinomio possesso-potere-consumo; gli anni novanta sono stati quelli della perdita di senso, favorita dalla caduta delle ideologie, dal crollo dei miti e dall’irrompere della complessità sociale.
A questo quadro che accomuna l’Italia ad altri paesi considerati democratici, va aggiunta una peculiarità italiana: la crisi della legalità. La legalità non è stata, né è ancora, un valore comunemente condiviso, un elemento di coesione; essa è invece terreno di scontro e divisione, che, a volte, assume carattere ideologico. Tale analisi evidenzia una cultura individualistica e uno scarso senso dello Stato che apre la strada a poteri non trasparenti e non orientati al bene comune.
In questo quadro è difficile per un cittadino, ancor più se è giovane, comprendere il valore dell’impegno, della partecipazione, della solidarietà e della legalità. I giovani, spinti sempre di più verso una posizione passiva di clienti, utenti, consumatori, tendono a percepire di più i loro bisogni personali che con facilità trasformano in diritti, che le necessità di carattere generale a cui si risponde col senso del dovere e della responsabilità. A chiedere oggi ad un giovane qual è il suo concetto di politica, di corresponsabilità, si corre il rischio di ottenere risposte deludenti.
È complicato oggi aiutare i giovani a comprendere che la solidarietà e la corresponsabilità sono forme di educazione civile caratterizzata allo stesso tempo dall’esercizio responsabile dei diritti e dal rispetto dei propri doveri. È impegnativo far loro riconoscere il primato dell’interesse collettivo su quello individuale.
Ma il problema è prima di tutto degli adulti, delle famiglie, della scuola, delle agenzie educative e, tra queste anche la Chiesa. Quali sono, per questi soggetti, i valori fondamentali? Quanti tra essi comprendono che la lotta all’individualismo e alla cultura dell’arrangiarsi decide della libertà e della dignità di se stessi e delle future generazioni? Quale rapporto stabiliscono con le istituzioni? Sono intese, quest’ultime, come luogo in cui si costruisce un tessuto di solidarietà, di regole condivise e di benessere per tutti? E, a loro volta, le istituzioni e chi le governa appaiono coerenti con gli scopi ed i principi che affermano, animati di senso di responsabilità e capacità di ricambio? Aiutare i giovani a maturare il senso della partecipazione e dell’impegno non può prescindere da questi interrogativi. Il nostro tempo produce cambiamenti rapidi che non favoriscono la riflessione e ciò può indurre al rifiuto di processi di cambiamento e a rifugiarsi nel pensiero cinico, pessimista e rinunciatario.
Serve porsi di fronte ai limiti per capirli e per sforzarsi di superarli; capire il rischio per trasformarlo in occasione. Serve non arrendersi, imparare a combattere contro i nuovi oscurantismi, contro le nuove povertà e le nuove prepotenze. Per tutto questo ci vuole l’impegno della ragione, la fatica della ricerca e della costruzione, lo sforzo dello studio, la consapevolezza della responsabilità nei confronti delle generazioni future, la memoria di quelle passate ed una grande passione per l’educare.