Toscana

Giovani e politica, è difficile ma si può

di Antonella TaurasiBisogna camminare a testa alta, non tacere, indignarsi di più e rimboccarsi le maniche per cambiare». Questo il messaggio lanciato da monsignor Giancarlo Bregantini, trentino, cinquantacinque anni, da nove vescovo di Locri Gerace, durante l’incontro che si è svolto domenica scorsa nel Palazzo vescovile di Prato su «Come interessare le persone, soprattutto i giovani, alla politica?», organizzato dalla Commissione sociale e politica della Consulta giovanile della diocesi pratese. È un rapporto difficile quello dei giovani con la politica; troppo il distacco dal mondo reale, nullo il confronto con i bisogni delle persone, eccessiva la litigiosità dei partiti che si fronteggiano per affermare interessi individuali, trascurando il bene comune: e il risultato è il disinteresse, soprattutto giovanile, verso la politica.Monsignor Bregantini, che è anche presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali, lavoro, giustizia e pace, ha osservato come il venir meno di forti idealità ha prodotto personalità politiche di basso profilo e scarso spessore. «Ma non bisogna arrendersi – dice – pensando al fatto che anche Dio aveva un sogno sulla politica, intesa come l’arte di guidare, di fare sintesi, di mettere le cose in armonia fra di loro, di creare un mondo bello e sano come un giardino, immagine tanto ricorrente nella Bibbia».

Ricordando i pilastri su cui poggia la dottrina sociale della Chiesa (sussidiarietà, solidarietà e bene comune), il vescovo di Locri ha evidenziato come sia necessario far rivivere nei giovani la vocazione alla politica, promuovendo un forte senso di rispetto verso la propria terra, per difenderla dalle insidie, facendo esperienze in gruppi, movimenti o associazioni, che hanno sostituito le ormai disperse sezioni dei partiti, indirizzando tutto l’interesse verso il bene dell’intera collettività e soprattutto manifestando il disagio, mostrando indignazione verso le ingiustizie.

Alla fine, Bregantini ha ricordato la figura e il rigore di Tommaso Moro, che prima della sua condanna a morte disse: «Ho obbedito a Dio e al re, ma a Dio prima che al re», che ben sintetizza la missione del cristiano che opera nel mondo ma non ha come fine ultimo questa terra.A margine dell’incontro abbiamo rivolto a monsignor Bregantini alcune domande di approfondimento sul tema trattato, ma anche sulla realtà in cui si trova ad operare come vescovo di Locri Gerace.

Eccellenza, condivide la sensazione che il mondo della politica rivolga meno attenzione al problema della criminalità organizzata?

«Purtroppo è vero, c’è un calo di interesse, si è più rassegnati, non ci sono più forti idealità. Di ciò la mafia è consapevole ed ha alzato la testa: è tragico assistere a situazioni in cui la malavita interviene e la società civile non risponde. Colgo questa occasione per chiedere con forza ai politici, agli uomini di cultura e di Chiesa di avere sempre davanti questa piovra, che corrode la vita dei giovani, del paese e paralizza tante attività».

Quali cambiamenti ha riscontrato in Calabria dal suo arrivo ad oggi?

«Sono nove anni che opero a Locri e trenta che vivo al sud. Mi sono trovato sempre bene perché la cordialità e l’accoglienza del meridione sono cose preziose e possedute da sempre. Noto che il sud sta riscoprendo i suoi antichi valori e sta guardando al nord in termini di modello da imitare. Ciò che manca sono l’organizzazione e le opportunità economiche, che rendono difficili progressi significativi».

Lei ha paura?

«In questo periodo c’è molta paura da parte delle istituzioni locali, si assiste ad un attacco verso gli amministratori, in particolare i sindaci sono nell’occhio del ciclone. Per questo è importante far sentire la forza del popolo, perché tutti abbiamo paura, ma se siamo sostenuti il coraggio viene».

Lei ha più volte parlato del sentimento di indignazione che bisogna manifestare verso i soprusi. Di cosa dovrebbero indignarsi i giovani?

«Dello sperpero, delle cose facili, del sesso mercificato, di una vita senza ideali, di una società che non dà senso alle cose, del vivere solo per il divertirsi, del gusto folle di certe corse, della scuola che non va, dei poveri dimenticati e calpestati. Il giovane è la primizia del mondo, per primo deve avvertire il disagio, per primo deve reagire».

Nella sua vita ha sperimentato anche il mondo del lavoro: cosa vorrebbe dire ai giovani che vi si affacciano per la prima volta?

«Di non guardare solo al denaro, valutandolo come unico metro, ma di cercare nel lavoro relazioni, puntando sui rapporti interpersonali. Di lavorare quanto basta. Qui a Prato per esempio si lavora molto. Si deve forse rinunciare? Non necessariamente, purché questa sia un’utile gavetta per aspirare ad un lavoro dignitoso ma proporzionato al bisogno, che non diventi un mito. Ai giovani del sud dico pure di fare qualsiasi lavoro onesto, di non aspettare il mitico posto, di fare bene ciò che sanno fare».

Che fare per risvegliare nei giovani l’interesse per la politica?

«I giovani hanno stabilito che la causa di questa freddezza sta nella lontananza dei politici dal mondo reale, nella perdita di contatto con la gente. Quindi bisogna rivolgersi più ai politici che ai giovani: che ritrovino la voglia di dialogare di più, di scendere dal piedistallo, di capire e ascoltare. Ai giovani un avvertimento: non cercate nella politica la soluzione ai problemi personali ma perseguite il grande sogno di migliorare la società tramite la politica. Per fare questo bisogna inserirsi nella società civile per realizzare l’utopia di un mondo armonico».

Giovani tra impegno e disimpegno