Toscana
Giovani e abuso di alcol
Vietare gli alcolici? Meglio aiutarli a vivere da «normali»
Da anni coloro che lavorano nelle tossicodipendenze insistono sulla pericolosità dell’alcol, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica tra le droghe pesanti, capaci cioè di provocare danni gravi all’organismo umano, morte compresa. Eppure finora non è stato considerato un problema serio, anche perché il vino, si dice, fa parte della cultura mediterranea, non è proibito per legge, fa guadagnare molto a chi lo produce o lo vende, costa poco, è reclamizzato da giornali e televisioni, è addirittura consigliato da quel falso e stupido detto popolare: «bere fa buon sangue». L’attuale allarme, che sta cominciando a preoccupare famiglie e politici, è soprattutto dovuto al fatto che l’abuso di questa sostanza è la causa di sempre più frequenti incidenti stradali, tra i quali meritano un’attenzione particolare le morti del sabato sera di troppi giovani di ritorno da discoteche. Ma l’uso di alcol nasconde ben altro, qualcosa da non affrontare solo con leggi più severe.
Una droga particolare. Molti non accettano che il vino sulla tavola o una birra al bar siano droghe. Io stesso trent’anni fa consideravo esagerata la severità con cui alcuni medici insistevano perché non solo i residenti nelle nostre comunità ma anche noi operatori smettessimo assolutamente di bere. Obiettavo che il vino non era in sé un male, nella Bibbia è simbolo di gioia, festa, amicizia, anche se ne viene stigmatizzato l’abuso, come insegna l’ubriacatura di Noè; lo stesso Gesù l’ha scelto come elemento essenziale della messa cristiana. Quel rigore suggerito dai medici era forse eccessivo; noi l’abbiamo conservato solo per i residenti nelle comunità terapeutiche dove l’alcol è bandito. Agli altri continuiamo a dire che bere con moderazione non crea particolari problemi a persone normali, a condizione che l’uso non diventi abuso, e non si dimentichi che si tratta sempre di una droga pesante e subdola, capace di creare una dipendenza difficile a vincere.
Questa distinzione tra uso e abuso è doverosa anche per coloro che fumano spinelli; un uso pesante di «droghe leggere» fa danni quanto una droga pesante: un bicchiere di vino non è granché, due possono provocare incidenti stradali, dieci mandano diritti all’ospedale.
Altro pericoloso equivoco è che l’alcol non sia dannoso perché non è proibito per legge. La verità è che ogni sostanza stupefacente con una mano ti dà, con l’altra ti ruba, e alla fine può toglierti il bene più prezioso, la libertà di decidere della tua vita.
Qualcosa si fa. Contrastare il consumo di alcol, come di ogni droga, non è cosa facile. Da un po’ di tempo si segnalano iniziative e provvedimenti in merito, ma quasi tutti, mi pare, intendono proteggere la società e ridurre i danni a terzi, come il divieto di guidare sotto effetto di alcol (in Italia il 30% degli incidenti stradali è provocato da conducenti in stato psicofisico alterato), offrire test dell’alcol all’uscita dalle discoteche, maggiori controlli della polizia sui conducenti, ingresso gratuito in discoteca per chi non beve. Il comune di Milano ha vietato il consumo di alcolici nei locali pubblici ai minori di 14 anni («il 34% degli undicenni ha già avuto problemi con l’alcol» ha detto il sindaco), in questi giorni il Parlamento approverà una legge più severa, sulla linea «chi beve non guida e chi guida non beve». Sono misure che certamente serviranno, ma ci vuole molto di più.
Che cosa fare?. Nessuno s’illuda che si possa combattere efficacemente l’alcol col proibizionismo, anche perché chi non può bere in pubblico può sempre farlo in privato. Altra verità indiscutibile è che con le droghe dobbiamo imparare a convivere, perché eliminarle è impossibile. E allora?
È certamente necessaria un’informazione sui danni reali che un uso protratto e non controllato provoca al corpo e alla mente, sui rischi che una perdita di controllo comporta a sé ed agli altri, sul pericolo di cadere nella schiavitù di una dipendenza incontrollabile, ma deve essere un’informazione scientificamente seria. Un buon traguardo sarebbe riuscire a convincere a bere in maniera moderata, non andando mai oltre il primo bicchiere.
Ma come per tutte le droghe, anche con l’alcol occorre affrontare il vero problema che sta dietro la sostanza, dentro le persone che la usano come un salvagente: diminuire in loro la domanda di qualcosa che attutisca un male personale, aiutandole a vivere bene anche «da normali», attraverso un’illuminata e insistente opera di prevenzione personale e sociale. L’esperienza diretta di questi anni di lotta alla droga (per me sono quasi quaranta) dice infatti che dietro l’uso compulsivo di una droga c’è quasi sempre una persona che non sta bene con sé o con gli altri. Questo è preoccupante soprattutto per coloro che stanno attraversando quell’infido guado della vita che è l’adolescenza. Eppure negli ultimi anni l’uso di alcol e di superalcolici è molto aumentato proprio tra loro, con rischi inevitabili: a Genova è la prima causa di morte tra i 17 e i 24 anni.
Molti di loro «usano qualcosa» per vincere la noia, sentirsi disinibiti, prestanti, eccitati, per regalarsi almeno un’evasione settimanale, vissuta come una sorta di compensazione per lo stress e la routine degli altri giorni. Non riuscendo a stare bene «da normali» o a relazionarsi con le persone in maniera libera e adulta, ricorrono volutamente allo sballo con sostanze che alterano le sensazioni e il comportamento. Questo abuso non è casuale ma cercato. È a questi giovani che occorre dare maggiore attenzione, non terrorizzandoli sul pericolo di questo fenomeno ma aiutandoli ad affrontare la vita con coraggio e responsabilità, non da sballati ma da normali. La soluzione è dunque da cercarsi soprattutto nella formazione alla vita, nel proporre prospettive alte, nell’educare alla responsabilità anziché al ripiegamento, favorire la relazione interpersonale (grande problema di oggi).
«Quasi il 50% del campione intervistato, senza sostanziali differenze di genere» spiega Voller ha «avuto almeno un episodio di ubriacatura nell’ultimo anno, con punte fino al 70% per i 18-19 enni. Nello stesso campione si è mostrato che i ragazzi che hanno avuto episodi di binge drinking (5 o più unità alcoliche consumate in una sola occasione) hanno una probabilità quasi 3 volte superiore di incorrere in un incidente stradale con conseguenze gravi rispetto ai non bevitori e 2,5 volte superiori rispetto ai bevitori non binge». In Toscana i ricoveri «per patologie totalmente alcol-attribuibili» sono in calo (circa 2 mila casi nel 2008) ma è un dato «sottostimato in quanto non sono state considerate le diagnosi parzialmente alcol attribuibili».
Comunque, nella nostra regione nel periodo 1988-2005 sono circa 16 mila i decessi attribuibili all’alcol (2.3% del totale). La conseguenza più immediata dell’abuso alcolico sono gli incidenti stradali (causa del 30% delle morti). In particolare questo fenomeno coinvolge i giovani: l’incidente stradale è la prima causa di morte tra i maschi con meno di 40 anni. E la Toscana vede un aumento di incidenti. Nel 2007 sono stati 20.209 (+23,3% rispetto al 1991) e hanno provocato 27.665 feriti (+23% rispetto al 1991) e 322 morti (-34,8% rispetto al 1991). Con picchi molto alti nelle notti tra venerdì e sabato (nel 2007 in Toscana, 1.026 incidenti stradali che hanno provocato 33 morti e 1.642 feriti).
In Toscana, secondo la ricerca condotta da Ars, i bevitori tra i 14 ed i 19 anni sono l’81,1% (l’84,6% dei maschi e il 78,2% delle femmine). «Se facciamo riferimento alle bevande preferite, spiega Voller per entrambi i generi sono gli aperitivi ed i superalcolici. I giovani toscani consumano gran parte della loro quantità di alcol totale (circa il 70%) tra il venerdì ed il sabato.
Riguardo ai consumi eccedentari episodi di binge drinking riguardano il 26,1% del campione totale. Gli episodi di ubriacatura nell’ultimo anno coinvolgono quasi la metà del campione (il 47,4% dei maschi e il 43,7% delle femmine).
Il binge drinking è associato in modo statisticamente significativo con l’essere fumatore, esser consumatore di sostanze, gambler (dipendenza da gioco d’azzardo, ndr), mettere in atto comportamenti bullistici, comportamenti sessuali non protetti, incorrere in un incidete stradale grave».
In «Toscana come in Italia», spiega ancora Voller, sembrano oramai convivere due modelli di consumo di alcol: uno giovanile ricreazionale, omologato ai comportamenti dei coetanei nord europei, e l’altro dell’adulto, ancorato invece agli stili tradizionali. Si è assistito quindi in particolare negli ultimi 20 anni soprattutto nelle popolazioni più giovani ad un progressivo passaggio dal consumo di vino (o di bevande a bassa gradazione alcolica) ai pasti all’uso di bevande ad alto tasso alcolico, spesso in grandi quantità, fuori dai pasti e in occasioni ricreazionali».
Il primo «messaggio da trasmettere ai giovani» per Barbagli «è quello di assoluta incompatibilità tra alcol e guida», perché la ricerca evidenzia appunto come «il consumo di alcol sia un fattore determinante dell’infortunistica stradale», riducendo drasticamente i livelli di attenzione».
Secondo l’Agenzia regionale sanità dal 1991 al 2004 si sono verificati 248.702 incidenti stradali, con 332.986 feriti e 6.207 morti. Ogni anno in media si sono contati circa 17.770 incidenti, 23.780 feriti e 443 morti. Coerentemente con le abitudini ricreative degli italiani, in Toscana il 42,2% degli incidenti stradali che avvengono tra le 22 e le 6 del mattino, si verifica nelle notti tra venerdì e sabato (19%) e tra sabato e domenica (23%). Si tratta anche degli incidenti più gravi. Le ore più pericolose, quanto a gravità degli incidenti, sono le prime della mattina e le persone più coinvolte sono in maggioranza giovani sotto i 30 anni. Nel 2006 il ritiro di patenti per guida in stato di ebbrezza varia dai 1.705 casi (comprendenti revisioni e fermi patente) a Firenze ai 365 di Pistoia, ai 419 di Pisa.
Quello alcolico è uno «sballo» ricercato e sperimentato dal 64,8% dei ragazzi e il 33,7% delle ragazze toscane con un allarmante picco per i minorenni. In «pole position» ci sono infatti i giovanissimi: il 41,7% dei ragazzi ed il 20,8% delle ragazze al di sotto dei 18 anni beve sino ad ubriacarsi, seguiti dai 19-24enni (18,8% dei maschi e 9,4% delle femmine) e dai giovani oltre i 25 anni (7,5% dei maschi e 5,5% delle femmine) tra cui si registra la più elevata percentuale di sobri, quasi a dimostrare che con l’età si «mette giudizio». Tra i giovani la frequenza più elevata si riscontra tra i consumatori di aperitivi alcolici e breezer (cocktail a base di rum), il 67,0% degli intervistati, con una media di bicchieri più elevata per gli ultra 25enni (quasi 2 bicchieri) e le ragazze minorenni (1 e mezzo circa).
L’unica lacuna della legislazione riguarda la vendita. Un ragazzo di 15 anni non può chiedere un bicchiere di vino al bar ma può comprarne una bottiglia intera in un supermercato. Alcuni supermercati però hanno scelto di non vendere alcolici ai minori di 16 anni.