Lettere in redazione

Giovani assassini e vuoto educativo

Caro Direttore,vorrei esprimere le mie sensazioni, di profonda commozione, sugli efferati delitti di giovani ragazze che di recente sono avvenuti. Ho provato infinita pena per le vittime, rispetto e compassione per il dolore dei familiari e angoscia di fronte a gesti così estremi.

Ma il mio sconcerto non finisce qui, infatti quando si è indagato nel mondo giovanile al quale vittime e presunti assassini appartengono, sono rimasta impressionata dal modo con cui certi ambienti giovanili gestiscono l’affettività, il vivere quotidiano: insomma il loro stesso esistere e come, lontani da valori veri e normali, ricerchino nella droga, nella sessualità mal gestita, negli stordimenti vari il senso della vita.

È un quadro che fa riflettere. Nello stesso tempo non possiamo estraniarci, pietà e solidarietà non possono mancare, ma è doverosa anche una riflessione sul perché di certi comportamenti.

Rosa LapiFirenze

I delitti di Garlasco e di Perugia – credo siano soprattutto questi i fatti tragici a cui lei allude, gentile signora Lapi – hanno trovato ampio spazio –anche troppo per la verità – su giornali e telegiornali, con gli immancabili «approfondimenti» di «Porta a Porta» e di «Matrix».

Le sensazioni che suscitano in ciascuno di noi sono varie: c’è indubbiamente il dolore per le giovani vittime che si fa rimpianto per una «potenzialità spezzata» e la partecipazione al lutto delle famiglie per le quali nulla sarà più come prima. E c’è anche, doveroso, l’apprezzamento per il lavoro degli inquirenti che non è certo facilitato dal protagonismo di tanti che non sa né vuole tradursi in collaborazione.

C’è poi un aspetto, che emerge da queste come da analoghe vicende, che merita riflessione, prescindendo, come è giusto, da ogni giudizio sulle singole persone. Spesso i delitti, che coinvolgono giovani, lasciano intravedere, sullo sfondo, uno spaccato di vita che appare povero di valori veri e di progetti impegnativi. La noia domina e la si scaccia con esperienze estreme, in cui droga, sesso, violenza formano una miscela esplosiva, che non necessariamente giunge al delitto, ma che segna la vita di queste persone. Si tratta, certo, di un mondo giovanile minoritario – ma quanto minoritario? – che comunque non può lasciarci indifferenti, perché indica un’emergenza, e obbliga a domandarsi se come agenzie educative (famiglia, scuola, Chiesa) abbiamo esercitato sempre e fino in fondo il nostro ruolo.

E si ha l’impressione che oggi ci sia una latitanza per quanto concerne una positiva educazione all’amore e alla sessualità, con la conseguenza che – sono parole del Papa – «non pochi, soprattutto giovani, sono attratti da una falsa esaltazione o, meglio, profanazione del corpo e dalla banalizzazione della sessualità». Non si tratta certo di tornare a un tempo in cui l’insistenza su questi temi era forse eccessiva, ma è negativo – e non privo di conseguenze – il non offrire ai giovani una seria e impegnativa formazione all’affettività: certo bisogna farlo con intelligenza, saggezza e sensibilità, ma tacere, come spesso si fa, credo proprio che non si possa.