Toscana
Giovani alla ricerca di un centro di gravità
Ma perché i giovani, e forse non solo loro, hanno difficoltà a trovare questo «centro di riferimento» o di «gravità»? Insomma, perché troppo spesso non riescono a dare un senso alla vità? Abbiamo girato la domanda a mons. Bruno Frediani, che di queste cose se ne intende, visto che da quasi trent’anni opera in prima linea sul terreno dell’accoglienza e della solidarietà con i giovani che vivono forme di disagio. Ha fondato per il Ceis di Lucca il gruppo «Giovani e comunità» ed è stato vicedirettore della Caritas italiana. A tutto questo associa la cura pastorale di due paesi sulle colline di Camaiore, in Versilia.
«I giovani spiega il sacerdote lucchese sono in ricerca, pongono a se stessi e agli altri delle domande sul senso della vita, della storia e del tempo, ma non vogliono risposte preconfezionate. Piuttosto cercano chi condivida con loro il cammino di ricerca. Nei confronti della società e delle istituzioni come la famiglia, la scuola e la stessa Chiesa, non hanno un atteggiamento di rifiuto o di disprezzo: le considerano punti di riferimento importanti, ma non le assumono nella loro interezza e nella loro totalità; vi prendono soltanto ciò che serve loro al momento. Cercano la loro personalità e la loro individualità non attraverso l’appartenenza ad un contesto precostituito o l’identificazione con un modello già pronto, ma attraverso percorsi personali che passano attraverso molte esperienze spesso neanche coerenti fra di loro. Si tratta di una ricerca non orientata, perché i giovani stessi non percepiscono bene fino in fondo che cosa stanno cercando. Questo perché è scarsa la propensione all’introspezione e alla riflessione, mentre si valorizza molto l’esperienza, il provare. Gli stessi mezzi di comunicazione non favoriscono la considerazione della dimensione interiore e spirituale, che sono importanti nella persona indipendentemente dall’esperienza religiosa e di fede».
Il fondatore del Ceis di Lucca ritiene pertanto che la famiglia e la Chiesa, ma anche la scuola, dovrebbero assumere «un ruolo ben diverso rispetto agli altri soggetti della società, compresi i mezzi di comunicazione sociale, e cioè non quello di offrire dei loro prodotti, ma quello di esserci, con una loro identità e una loro scala di valori morali e sociali con cui i giovani possano confrontarsi e a cui possano attingere nella loro ricerca. Ancora una volta il problema non è quello del che cosa dare, perché in questo modo si pone ancora l’accento sul soggetto che dà, ma dell’esserci e del come esserci, perché così si dimostra la volontà di scegliere una presenza e un’attenzione a partire dall’altro, si offre una compagnia discreta e rispettosa nel cammino di ricerca da fare e non una soluzione e una risposta già pronte».
La presentazione della ricerca
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