Toscana

Giovani alla ricerca di un centro di gravità

di Andrea FagioliDalla ricerca su «I giovani e la cultura nell’era della comunicazione», realizzata dal Censis e presentata a Roma nel corso del Convegno Cei sulle «Parabole mediatiche», non emergono solo i dati su cosa leggono o vedono i ragazzi e le ragazze tra i 18 e i 30 anni, ma anche, sia pure con il consueto beneficio d’inventario con cui vanno presi sondaggi e statistiche, i «numeri» sul senso della vita e sulla fede.«A fronte di un esterno caotico, affannato, questi giovani – spiegano gli autori dell’inchiesta – sembrano cercare un centro di riferimento che consenta una costruzione di sé e del proprio essere al mondo». In qualche modo il Censis sembra parafrasare il cantautore siciliano Franco Battiato e il suo «cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia più cambiare idea sulle cose e sulla gente…».

Ma perché i giovani, e forse non solo loro, hanno difficoltà a trovare questo «centro di riferimento» o di «gravità»? Insomma, perché troppo spesso non riescono a dare un senso alla vità? Abbiamo girato la domanda a mons. Bruno Frediani, che di queste cose se ne intende, visto che da quasi trent’anni opera in prima linea sul terreno dell’accoglienza e della solidarietà con i giovani che vivono forme di disagio. Ha fondato per il Ceis di Lucca il gruppo «Giovani e comunità» ed è stato vicedirettore della Caritas italiana. A tutto questo associa la cura pastorale di due paesi sulle colline di Camaiore, in Versilia.

«I giovani – spiega il sacerdote lucchese – sono in ricerca, pongono a se stessi e agli altri delle domande sul senso della vita, della storia e del tempo, ma non vogliono risposte preconfezionate. Piuttosto cercano chi condivida con loro il cammino di ricerca. Nei confronti della società e delle istituzioni come la famiglia, la scuola e la stessa Chiesa, non hanno un atteggiamento di rifiuto o di disprezzo: le considerano punti di riferimento importanti, ma non le assumono nella loro interezza e nella loro totalità; vi prendono soltanto ciò che serve loro al momento. Cercano la loro personalità e la loro individualità non attraverso l’appartenenza ad un contesto precostituito o l’identificazione con un modello già pronto, ma attraverso percorsi personali che passano attraverso molte esperienze spesso neanche coerenti fra di loro. Si tratta di una ricerca non orientata, perché i giovani stessi non percepiscono bene fino in fondo che cosa stanno cercando. Questo perché è scarsa la propensione all’introspezione e alla riflessione, mentre si valorizza molto l’esperienza, il provare. Gli stessi mezzi di comunicazione non favoriscono la considerazione della dimensione interiore e spirituale, che sono importanti nella persona indipendentemente dall’esperienza religiosa e di fede».

A proposito del ruolo che in ogni caso rimane o dovrebbe rimanere alle «istituzioni» come la famiglia o di altri punti di riferimento, don Frediani ricorre alla metafora: «Se dovessi fare un esempio – dice – paragonerei il rapporto tra giovani e istituzioni a quello che c’è tra il porto e la nave. La nave deve staccarsi dal porto e fare i suoi viaggi nei mari e negli oceani, ma nel momento in cui vuole rientrare sa bene a quali coordinate ritrovare il porto. Se il porto si spostasse, magari seguendo la nave, si crea un grande disorientamento. Questo mi sembra che sia l’errore delle istituzioni oggi: quello di seguire i giovani offrendo loro beni, servizi, prestazioni, che loro usano restando però insoddisfatti e apparentemente distaccati».Entrando nello specifico della famiglia e della Chiesa, don Frediani le giudica «troppo preoccupate di capire che cosa possono o debbono dare ai giovani, riducendo così il loro ruolo a quello di offrire beni servizi e prestazioni, collocandosi, nel contesto di una società mercantile e commerciale, a fianco di tanti altri soggetti che cercano di offrire ai giovani i loro prodotti. I prodotti che la Chiesa si sente in grado di offrire sono i sacramenti, la catechesi, l’appartenenza a gruppi e associazioni, ma questi non sono oggetto della ricerca da parte dei giovani, i quali li usano per un momento e poi vanno oltre».

Il fondatore del Ceis di Lucca ritiene pertanto che la famiglia e la Chiesa, ma anche la scuola, dovrebbero assumere «un ruolo ben diverso rispetto agli altri soggetti della società, compresi i mezzi di comunicazione sociale, e cioè non quello di offrire dei loro prodotti, ma quello di esserci, con una loro identità e una loro scala di valori morali e sociali con cui i giovani possano confrontarsi e a cui possano attingere nella loro ricerca. Ancora una volta il problema non è quello del che cosa dare, perché in questo modo si pone ancora l’accento sul soggetto che dà, ma dell’esserci e del come esserci, perché così si dimostra la volontà di scegliere una presenza e un’attenzione a partire dall’altro, si offre una compagnia discreta e rispettosa nel cammino di ricerca da fare e non una soluzione e una risposta già pronte».

Un campione tra i 18 e i 30 anniSono stati mille i giovani italiani tra i 18 e i 30 anni intervistati come campione rappresentativo per la ricerca «I giovani e la cultura nell’era della comunicazione», promossa dalla Conferenza episcopale italiana e realizzato dal Censis, il centro nazionale di statistica. L’indagine, i cui risultati sono stati presentati al recente convegno nazionale a Roma sulle «Parabole mediatiche», è stata curata da un’équipe diretta da Elisa Manna ed «ha tentato – come si legge nella premessa – di sondare le dimensioni immateriali del vissuto giovanile, di riflettere sulle emozioni e i sentimenti che li abitano, sulle passioni che li agitano, sulle loro speranze, sul rapporto con le figure-guida, sulla loro idea di “cultura”. E su molto altro», compresa la sfera religiosa di cui proprio qui sotto riportiamo una parte dei risultati della ricerca, così come a sinistra riportiamo invece le risposte alle domande fondamentali sul senso della vita, della felicità e del tempo. Nel capitolo «Fede e comportamenti quotidiani», i curatori della ricerca affermano che la fede, in primo luogo, «si propone come veicolo d’appartenenza culturale, dunque d’appartenenza a una dimensione collettiva di senso». Ma in secondo luogo, la fede «subisce un processo di individualizzazione, di privatizzazione in cui si moltiplicano le posizioni e le sfumature (credenti non praticanti, cattolici non credenti, ricercatori)…. La religione confluisce così in una dimensione affettivo-emozionale, diventa religione affettiva, e risponde a esigenze di ritualizzazione sociale, di confronto personale, di supporto alle scelte di vita. Gli stessi sacramenti, gli stessi luoghi, le stesse verità di fede subiscono una sorta di despiritualizzazione: e allora la confessione è soprattutto un momento in cui ricevere consiglio; la parrocchia è un campanile, un segno di riferimento sul territorio più che una vera comunità cui appartenere; l’inferno non esiste, il paradiso sì; le scelte etiche su alcuni grandi temi vengono lette in maniera molto personale, la vita dopo la morte, chissà…». Resta comunque «il bisogno di testimonianze forti, credibili, quotidiane». Cos’è la vitaUn viaggio da vivere con intelligenza 37,1%Una meravigliosa avventura 33 %La ricerca del benessere 14,5%Una serie di ostacoli da superare 13,7%Una continua sofferenza 1,7% Cos’è la felicitàUna cosa da cercare tutta la vita 44,9%Una realtà, anche se temporanea 25,5Un attimo 17,0%Un’illusione 12,6% Cos’è il tempoQualcosa da sfruttare al meglio 37,3%Qualcosa che ci sfugge continuamente 30,8%La speranza del futuro 19,4%La memoria del passato 11,5%Altro 1,0% Religione di appartenenzaCattolica 73,8%Nessuna 2,4%Altra religione 2,4% Frequenza a riti religiosiMai o quasi mai 43,1%Da 4 a 10 volte l’anno 17,2%Da una a 3 volte l’anno 16,7%Da una a più volte al mese 13,5%Una o più volte alla settimana 9,5% Frequenza confessioneMai 32,0%A distanza di anni 27,5%Alcune volte durante l’anno 17,0%Una, due volte all’anno 12,7%Mensilmente o quasi 8,2%Più frequente 2,6% Associazioni ecclesialiNon ne ho mai fatto parte 69,2%Ne faccio o ne ho fatto parte 30,8% Cosa fa pauraPossibili più risposte. Di seguito le principaliLe malattie 45,3%La morte 37,4%Il dolore 29,9%La solitudine 24,2%La guerra 22,8%La cattiveria 19,0%La stupidità 17,8%La violenza 16,5%Il male 15,8%L’intolleranza 15,1%La criminalità 14,5%La vecchiaia 10,0% Cosa c’è dopo la morteNon so 29,9%Un’altra vita 29,2%Non si può sapere 22,1%Nulla 11,4%Reincarnazione 4,4%Altro 3,0

La presentazione della ricerca

Ricerca Censis sui giovani

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