Italia
Giorno della memoria. Ruth Dureghello: «Sempre attuale per sconfiggere oggi chi uccide in nome di Dio»
Ruth Dureghello è la presidente della Comunità ebraica di Roma. «Sono dati – commenta subito – che mi preoccupano molto, ma mi danno motivo per riflettere su come si possa, in qualche modo, migliorare il lavoro che si è compiuto in questi anni. Sono però anche profondamente convinta, avendo visitato tante scuole e avendo avuto a che fare tanto con gli studenti, che si sia compiuto un grande lavoro di sollecitazione delle coscienze».
E quindi?
«Soprattutto dopo gli attentati di Parigi, e prima ancora di Madrid e Londra, ci si è resi perfettamente conto che il tema non è fondamentale solo per il mondo ebraico».
Perché, secondo lei, gli italiani fanno così fatica ad abbracciare il popolo ebraico?
«Guardi, sinceramente io non vedo alcuna fatica. Anzi… Ci sono chiaramente delle questioni ancora aperte e sospese che debbono essere una volta per tutte chiarite. Innanzitutto la questione della diversità del popolo ebraico. L’ebreo è percepito, purtroppo, ancora troppo spesso come un diverso ed è assimilato allo straniero. Fa parte di un retaggio culturale legato alla comunicazione di una certa parte della nostra politica nazionale e di una strumentalizzazione di alcuni temi legati alla politica internazionale. Ma noi ci muoviamo in senso opposto cercando di far comprendere che la nostra diversità può essere una diversità culturale ma giammai una diversità in termini di valori. Rivendichiamo uno spirito d’identità e di appartenenza nazionale che va ben oltre il quotidiano e s’insedia nella storia dei grandi contributi che il popolo ebraico ha dato all’Italia sia nel Risorgimento che nella prima guerra mondiale e poi nella Resistenza».
Oggi però portare la Kippah è divenuto addirittura pericoloso e in Francia c’è stato chi ha proposto di non metterla per motivi di sicurezza. Anche in Italia si ha paura di essere ebreo?
«Visto che di memoria stiamo parlando, se vado indietro con la storia e penso a ciò che è accaduto 70 anni fa, non posso non ricordare il re Cristiano di Danimarca che per tutelare i cittadini ebrei, non esitò a mettersi lui una stella sul petto impedendone la deportazione. L’identità passa attraverso i simboli e tutti i simboli devono essere condivisi e portati con orgoglio. Se si arriva al punto che la paura o il terrore sopraffanno questi sentimenti e ci impediscono di rappresentarci per quello che siamo, allora è davvero un problema. Mi auguro, anzi sono certa, che in Italia il problema non è così sentito ma tutti dobbiamo lavorare perché non lo divenga assolutamente.
Sono temi che rendono attuale il ricordo della Shoah. Si è fatto un grande lavoro, ma c’è ancora tanto da fare se 1 italiano su 6 ritiene che il Giorno della memoria ha rilevanza solo per gli ebrei?
«Sì è vero. La Memoria è un percorso lungo, lento e faticoso che passa anche attraverso una serie di gesti concreti e una coerenza nelle politiche e nelle decisioni. Ma soprassedere o pensare che sia inutile e, quindi, lasciarsi andare all’indifferenza piuttosto che all’indolenza sarebbe ben più grave».
Papa Francesco quando in Sinagoga ha ricordato i sopravvissuti della Shoah, tutti si sono alzati in piedi in ricordo…
«È stato un omaggio – mi scusi se la interrompo – ai sopravvissuti che fanno un lavoro non solo encomiabile ma ammirevole per il loro modo di porsi e di raccontare. Testimoni per la futura memoria».
Quanto è importante il messaggio di papa Francesco?
«Il ruolo del Papa è importantissimo in un momento in cui le religioni debbono emergere per il loro compito fondamentale che hanno nella vita quotidiana e in un momento in cui arrivano segnali inquietanti da chi uccide in nome di Dio. Quando una figura come il Papa, che rappresenta il mondo cattolico nella massima espressione, omaggia i sopravvissuti, è assolutamente fondamentale, perché rende importante il lavoro che si fa come riconoscimento di ciò che è stato e non dovrà mai essere».
E al mondo cattolico cosa chiede?
«Al mondo cattolico chiedo la stessa attenzione, non stancandosi mai di richiamare le parole del Papa quando dichiara con fermezza che non c’è spazio per l’antisemitismo, quando afferma che nessun cristiano può essere antisemita, così come quando invoca pace e sicurezza per Israele. Chiedo di superare pregiudizi che, ahimè, purtroppo, hanno pervaso i rapporti tra il mondo ebraico e il mondo cattolico per tanti secoli e contro i quali tanto si sta facendo e dei quali anche papa Francesco ha parlato di fronte al mondo intero».