Vita Chiesa

Giornata missionaria, una Chiesa aperta al mondo

Era il 1974 quando l’arcivescovo Agresti, accogliendo una richiesta di aiuto pastorale, inviò tre sacerdoti a Rio Branco. Tra loro don Massimo Lombardi, che oggi racconta il suo impegno nell’area chiamata «città del popolo». Il centro pastorale ospita laboratori e corsi professionali, attività sociali, distribuzione di generi alimentari

Un'iniziativa missionaria per la formazione e il lavoro dei giovani (Foto Missio-Tacchella)

Era il 7 novembre 1974 quando partirono i primi tre sacerdoti inviati come fidei donum dalla diocesi di Lucca a quella di Rio Branco, nello Stato dell’Acre, in Brasile. Preti «doni della fede» che l’allora arcivescovo, monsignor Giuliano Agresti, inviò per rispondere all’appello di aiuto pastorale del vescovo dom Moacyr Grechi che si era ritrovato con soli dieci preti. La richiesta di sacerdoti da prestare alla prelatura dell’Acre e dell’Alto Purús fu indirizzata a molte diocesi italiane, ma monsignor Agresti fu l’unico che l’accolse. E così per la giovane Chiesa sorella dell’Acre partirono don Natalino Pucci, don Giovanni Stefani e don Massimo Lombardi. È proprio quest’ultimo che, a distanza di 50 anni, può raccontare mezzo secolo di missione a Rio Branco, con l’entusiasmo di chi vive felice e in pienezza. Rientrato a Lucca, in questi giorni sta partecipando ad alcuni incontri che il Centro missionario diocesano ha organizzato per celebrare il 50esimo anniversario dall’invio dei missionari fidei donum lucchesi nelle diocesi di Rio Branco e di Byumba (Rwanda) e per la Giornata missionaria mondiale che si celebra domani, 20 ottobre (qui il messaggio del Papa).

Don Massimo e gli altri sacerdoti partiti nel 1974 per la missione avevano imparato nella loro diocesi quanto la Chiesa fosse aperta al mondo. Il contesto in cui vivevano e operavano quotidianamente «era favorevole alla maturazione di scelte missionarie». Racconta don Lombardi: «Il vescovo Agresti aveva avviato molte iniziative diocesane che guardavano ad extra: la Caritas, il Ceis, la consulta dei laici, i consigli pastorali, i frequenti confronti con il territorio, la Bibbia che doveva illuminare le notizie dei quotidiani, la casa di accoglienza per ragazze madri. Lui stesso venne in Brasile per garantire la cooperazione tra le due Chiese e ritornò a Lucca avvalendosi dell’esperienza di una Chiesa povera, ma che valorizzava le piccole comunità, i gruppi intorno al Vangelo, i laici e la loro formazione, la difesa dei diritti umani, delle minoranze e delle categorie più oppresse».

Arrivati a Rio Branco i nuovi missionari si appassionarono subito: «Operavamo nelle comunità ecclesiali di base, visitavamo tutte le realtà locali, vivevamo con le popolazioni della foresta, gli indios e i seringueiros (i raccoglitori di caucciù dagli alberi dell’Amazzonia, ndr)». In mezzo secolo di missione don Lombardi non si è mai adagiato: da una sfida all’altra, da una parrocchia all’altra, da un servizio all’altro; passione e impegno, anziché venir meno, sono sempre cresciuti.

Oggi opera insieme a un altro fidei donum lucchese, don Luigi Pieretti, partito per Rio Branco nel 1979. Insieme seguono le comunità dei quartieri limitrofi alla Casa di accoglienza Souza Araújo, dove abitano a fianco dei malati di lebbra, e operano nell’area missionaria chiamata «Città del Popolo», una E zona abitativa voluta dal primo governo Lula per dare un alloggio dignitoso alle migliaia di famiglie che vivevano in baracche lungo il fiume Acre, spazzate via dalle alluvioni sempre più frequenti. È questa la sfida che più impegna don Massimo oggi, visto che negli anni l’area ha preso la nomea di un ghetto malfamato. Il missionario lucchese agisce quotidianamente per sgretolare quest’immagine, assicurando la sua presenza, e quella della Chiesa cattolica, tra le famiglie della zona, ormai dimenticate anche dalle istituzioni.

Qui organizza attività pastorali, educative e di socialità, aperte alla cittadinanza, come incontri per giovani, scuola di musica, corsi di capoeira, laboratori. Ma ovviamente non mancano le celebrazioni eucaristiche, il catechismo, anche il gruppo dei ragazzi missionari. Tutto si svolge negli spazi del Centro pastorale, un salone parrocchiale e tre sale adiacenti (costruite anche con l’aiuto della Cei attraverso i fondi 8 per mille destinati agli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli) che ora diventano aule formative per corsi professionalizzanti (idraulica, elettricità, ecc.), ora luogo di ritrovo per la distribuzione di generi alimentari, ora spazio dove celebrare l’eucaristia, visto che ancora non c’è una chiesa dove potersi riunire. Una sala è anche adibita a cucina, indispensabile per mille finalità, a maggior ragione in una zona dove la povertà è cronica.

Tra le sfide del prossimo futuro di don Massimo, in un’area cementificata che a regime ospiterà 10.518 famiglie in altrettante case organizzate in 25 quartieri, c’è anche il Centro di educazione ecologica: si tratta di un terreno di 7mila metri quadrati, dove la diocesi di Rio Branco vuole piantare migliaia di alberi e aprire una scuola di ecologia. «In un periodo in cui i cambiamenti climatici sono diventati un problema planetario e in cui in Brasile si riscontra la tendenza a incendiare (è notizia di queste settimane l’espandersi degli incendi nelle foreste brasiliane e non solo, ndr), la nostra risposta vuole essere quella di piantare alberi, indicando per ognuno il nome della specie e affidando ogni pianta a una famiglia della “Città del Popolo”». Il progetto è ambizioso, ma c’è da credere che niente fermerà don Massimo. Come, d’altronde, i suoi 50 anni di missione testimoniano.