Vita Chiesa
Giornata delle Comunicazioni sociali: imparare a parlare con il cuore, non solo il nostro
Esso è pensato in continuità con la riflessione proposta lo scorso anno, con la quale egli invitava i comunicatori ad Ascoltare con l’orecchio del cuore. Lavorare sul cuore, dunque: è questo l’indirizzo chiaro che il Papa indica a coloro che si dedicano alla comunicazione, ed è un appello che non può lasciare indifferenti. Due interi anni e forse più di approfondimento su quell’organo nascosto in noi che è molto più di una pompa organica che garantisce il flusso del sangue che ci mantiene vivi. Cuore è intimità, cuore è passione e debolezza, cuore è ascolto e silenzio, cuore è segreto, cuore è poesia, cuore è profondità, cuore è empatia e rifiuto di ogni maschera e falsità.
Parlare col cuore lo si può e lo si deve fare in entrambe le direzioni: si tratta di parlare agli altri con il cuore, ma si tratta anche – forse soprattutto e prima di tutto – di imparare a parlare con il proprio cuore. In effetti, chi potrebbe anche solo pretendere di parlare a qualcun altro a partire dal cuore se non avesse imparato a dialogare con il proprio cuore? Tornano in mente quattro meravigliosi versi della poetessa Emily Dickinson, voce limpida e sorprendente dell’America profonda del XIX secolo, che riteneva di non essere vissuta invano se fosse riuscita ad aiutare anche solo un piccolo pettirosso caduto a rientrare nel proprio nido. Scriveva: «A un cuore in pezzi / Nessuno s’avvicini / Senza l’alto privilegio / Di aver sofferto altrettanto».
Non è, in fondo, lo stile del misterioso Pellegrino che la sera di Pasqua si accosta ai due amici in cammino verso Emmaus che è stato giustamente evocato nel comunicato con cui il nuovo tema è stato annunciato? Chi può accostarsi a un dolore se non ha sofferto altrettanto? E la poetessa lo definisce assai opportunamente un alto privilegio: tutto cambia nella vita, in effetti, quando si è attraversato un dolore, lo sguardo si affina, la presunzione si smorza, le parole si alleggeriscono, il cuore, finalmente, si può esprimere e non c’è più bisogno di indossare maschere o di recitare a soggetto. Sì, nessun pettirosso accetterebbe di farsi prendere in mano se non da chi ha gesti teneri e feriti, fragili e inermi. Non è anche l’immensa lezione di Francesco d’Assisi?
Quel Viandante lungo le strade della Giudea aveva dato prova più volte di saper parlare con il cuore e al cuore. Un giorno, racconta Matteo, aveva sentito i suoi amici discutere su chi fosse il più grande tra loro: una discussione senza cuore, tutta testa e tutto potere, che si ripete sempre a colpi di giacimenti energetici, armamenti nucleari, depositi finanziari e chi più ne ha più ne metta. Per tutta risposta, il Maestro prende un bambino e lo mette in mezzo: ecco il cuore! Parlare con il cuore è risvegliare il bambino che c’è in ciascuno di noi. E metterlo al centro, riconoscere che il bambino viene prima di ogni altra cosa, che se il bambino muore, tutto muore.
Un’altra volta, racconta Marco, un padre disperato si era gettato ai piedi di Gesù implorando aiuto per la sua figlioletta in pericolo di morte. Mentre insieme vanno verso casa, arriva la notizia che non c’è più niente da fare. Il Maestro non batte ciglio, caccia fuori tutti i giornalisti e i comunicatori, le prefiche e gli odiatori, gli influencer e i commentatori da strapazzo ed entra nella camera accompagnato solo dal padre e la madre della bambina. Le prende la mano e le dice: «Fanciulla, io ti dico; alzati».