Opinioni & Commenti

Giornata del ringraziamento, una sobrietà da riconquistare

di Sergio Paderi

In Italia ogni anno quattromila tonnellate di cibo vanno a finire tra i rifiuti. Almeno il 15% di pane, pasta, carne, frutta e verdura è gettato nei cassonetti. Basterebbe per dar da mangiare a migliaia di persone ogni giorno. Eppure veniamo da una cultura, quella agricola, che appena ieri – correva l’anno 1951 – chiese di istituire una Giornata del Ringraziamento per riconoscenza ai frutti della terra elargiti dal Signore e raccolti grazie alla sapienza e al lavoro dei contadini. Cosa è cambiato nella nostra società perché passassimo in pochi anni da un’«età del pane quotidiano», all’età dello spreco quotidiano?

«Il pane sprecato e gettato è anche l’espressione scandalosa dell’egoismo e dell’indifferenza davanti alla fame di molti», è il commento sintetico di monsignor Ravasi di fronte a questo scandalo. Che si muoia per fame non è solo un urlo contro la profonda ingiustizia dello scarto tra chi non ha pane per sfamarsi e chi ne ha tanto da buttarlo nel cassonetto ma contro quello che Arturo Paoli ha chiamato, su queste stesse pagine, «il declassamento del pane», cioè la sua perdita di valore. Se questo è l’ambiente in cui ci muoviamo, il senso della Giornata del Ringraziamento – che si celebra questa domenica 9 novembre – è dire un grazie che equivale a sentirci moralmente obbligati a uno stile di vita fondato sulla sobrietà e sull’accesso ai veri doni della terra, da cui spesso i cibi manipolati della civiltà dei consumi sono molto lontani. Il problema della fame, nella sua drammatica rilevanza, non dipende dalla disponibilità complessiva di cibo a livello mondiale, ma dalla iniqua distribuzione della capacità di produzione, per la quale a troppi esseri umani è stato vietato un adeguato accesso alla terra e quindi alla capacità di sussistenza «anche in aree e Paesi del mondo autosufficienti quanto alla produzione agricola» (Nota pastorale Cei «Frutto della terra e del lavoro dell’uomo»).

La Giornata deve perciò farci riflettere sul destino dell’agricoltura di sussistenza e sulla scarsa considerazione che i contadini hanno avuto nel nostro Paese. La loro emarginazione culturale e sociale li ha fatti scappare dalla terra, per cui oggi i contadini italiani non esistono più, sostituiti da operai agricoli o imprenditori che sono tutt’altro. Quell’immenso patrimonio millenario che era la nostra cultura materiale, l’intelligenza delle mani da cui sono nati i nostri paesaggi, cibi, città e cattedrali, è stato buttato alle ortiche e quando verrà la vera crisi economica ci dovremo affidare a romeni, polacchi o indiani per reimparare a sopravvivere coi doni della nostra terra.

Come recita la Carta per il rinascimento della campagna presentata da Vandana Shiva, «quello che nessun governo è in grado di controllare è la rabbia della gente quando i prezzi degli alimenti non sono più alla sua portata. Perciò assisteremo a una crescente instabilità sociale e in questo contesto il piccolo contadino, le produzioni locali, la distribuzione su piccola scala a livello locale, la vendita diretta, sono la sola sicurezza futura, se non le ricostruiamo non ci sarà nessuna sicurezza alimentare. Ecco perché il piccolo contadino deve essere libero: affinché il resto della società possa essere liberata dal pericolo della fame. È per questa ragione che dobbiamo difendere con decisione i piccoli contadini e la loro libertà, proprio per i prezzi che, senza di loro, il pianeta sarebbe costretto a pagare, compresa la catastrofe climatica e il caos».

Ecco dunque il messaggio per la Giornata del Ringraziamento: nuovi stili di vita fondati sulla sobrietà, sull’autoproduzione e aiuto concreto all’agricoltura contadina favorendo in tutte le forme l’acquisto dei prodotti alimentari locali. Solo così potremo tentare di ricominciare a gioire della Terra per tutto ciò che rende possibile e ringraziare con Francesco la bellezza del Creato: Laudato si’, mi signore, per sora nostra matre terra, / la quale ne sustenta et governa.