Opinioni & Commenti
Giorgio La Pira, un vincente nel senso umano del termine
Alle elementari bevevo ogni mattina un bicchiere di latte intero, adatto ai bambini nell’età della crescita, offerto dall’amministrazione comunale a tutti gli scolari di Firenze. Era un’attenzione da immediato dopoguerra rivolta ai piccoli attraverso uno degli strumenti pubblici: la Centrale del Latte. Uno sguardo verso il futuro, una specie di carezza del sindaco. Non ricordo se sapevo che quello in carica era Giorgio La Pira, sinceramente penso di no.
L’incontro con lui avvenne all’Università, Giurisprudenza, dove insegnava Istituzioni di Diritto Romano, con la tranquilla bonomia di chi sa che lo studio non deve essere finalizzato al superamento di un esame. Di regola dava un voto leggermente superiore a quello ricevuto a Diritto Civile, altrimenti consigliava con un sorriso di non dare l’esame. «Era prematuro».
Anche negli anni della contestazione le sue lezioni godevano di una sorta di extra territorialità politico-culturale. Quando il corso iniziava, alla presenza di molti studenti che già avevano frequentato gli anni precedenti, La Pira veniva accolto con un lungo applauso di vera amicizia; con lui la piaggeria non avrebbe avuto senso, l’atteggiamento di benevolenza era scontato e anche l’attenzione personale, unica, per ciascuno. Penso dipendesse dal fatto che La Pira era un vincente, nel senso umano del termine, forse prossimo a quello di venerabile, che gli è stato di recente riconosciuto da papa Francesco. Intendo dire che si trattava di una persona che aveva compiuto le sue scelte di vita e che ad esse era rimasto fedele con caparbia dolcezza. Non si trascinava dietro il peso di rimpianti o rimorsi.
Da costituente, da parlamentare, da sindaco e da membro del governo aveva svolto il suo ruolo politico in autonomia senza porsi fuori del mondo, aveva maturato decisioni anche difficili e aveva tentato avventure al di là dell’immaginabile. Sempre confidando «nell’aiuto della Madonna», come diceva lui, con una naturalezza che faceva invidia. L’aneddoto del salvataggio della Pignone attraverso una telefonata a Enrico Mattei, al quale disse che la Madonna gli aveva assicurato un intervento dell’Eni, che puntualmente si verificò, per mantenere in funzione la struttura industriale fiorentina è forse esagerato, ma non credo falso.
Come accade nella politica, La Pira a volte aveva vinto, altre perso. Non aveva cercato il ruolo del professionista a vita in quell’ambito. Nè conservato alcun rancore. Erano stati i fanfaniani fiorentini a preferirgli Piero Bargellini come sindaco nel 1965, nonostante questo, in occasione delle votazioni per la Presidenza della Repubblica del 1971, spiegava al crocchio di studenti che gli chiedeva un parere sui nomi dei candidati che proprio Fanfani sarebbe stato il più adatto a ricoprire quella carica. Era sempre disponibile a parlare con tutti, ma in particolare con i giovani e quindi con gli studenti. Eravamo emozionati per l’attenzione che ci dedicava un uomo che aveva parlato alla pari con Kruscev e Ho-Ci-Min.
Una volta convocò i pochi membri del gruppo democristiano di Giurisprudenza, esiguo manipolo di ragazzi che tentavano di sviluppare una riflessione su temi più grandi di loro. Li invitò a cena a casa dell’amica e collaboratrice politica Fioretta Mazzei e trascorse la serata a insegnare e commentare un passo delle istituzioni di Gaio, in latino. Lo ricordo ancora «Convenire dicuntur, ex multis locis in unum locum. Colliguntur et veniunt». Decidono che è opportuno riunirsi, da molti luoghi in uno solo. Li convocano e arrivano.