Cultura & Società
Giorgio Abrami, lo scrittore cattolico che «soccorse» Papini e Bargellini
Non è solo una curiosità, è un fondato indizio che si è fortificato leggendo e rileggendo dedicazioni e presentazioni: Giorgio Abrami (scomparso nel settembre del 1960) deve essere stato un referente importante per la scrittura di Papini, Bargellini e d’altri. E per «referente» intendo, sommariamente, il consigliere linguistico, per la forma e la stesura retorica, sintattica e persino grammaticale. E non è strano che questi «sospetti» siano espressi a molti anni dalla sua morte: tanto è il portato della sua (indisponente) modestia, e della sua capacità di godere delle altrui affermazioni, senza alcun velo di gelosia. Abrami scrisse poco, pochissimo.
Epigrammista finissimo, dettò epigrafi (quella di Castagno d’Andrea, ad esempio, per un affresco di Annigoni), scrisse piccoli compendi di saggezza, come Scacchiera della verità (Vallecchi, 1960), ci dette una delle più lucide esegesi degli epigrammi del Tommaseo.
Nel dicembre del ’49, quando Papini pubblicò la Vita di Michelangiolo nella vita del suo tempo (Garzanti), ne mandò copia in omaggio all’amico, dedicando di suo pugno: «all’amico/Giorgio Abrami/che valorosamente/mi soccorse per/dar gli ultimi tocchi/a questo libro del/suo Giovanni Papini».
Del resto, che l’Abrami fosse in stima a Papini si evince, oltre che da tante testimonianze di comuni amici, dalla frequentazione di «casa Papini» in via Guerrazzi, ov’era viva la consuetudine (lo ricorda assai bene il figlio Vittorio) degli incontri pomeridiani della domenica, ov’era facile trovare Bargellini, Rebora, Cicognani, Lisi, Sacchetti, Primo Conti e, appunto, l’Abrami.
È di Papini il seguente invito, a testimoniare della profonda confidenza per il nostro:
È di tutta evidenza come si tratti, potremmo dire, di «dediche parlanti». Per Papini, che si volle intellettuale molto esclusivo e persino snob (Arnaldo Pini ricordava la freddezza con cui accolse Alberto Moravia), l’Abrami fu amico che «valorosamente lo soccorse per dar gli ultimi tocchi». E siccome è da escludere che i «tocchi» fossero solo le correzioni delle bozze, è legittimo dedurre che si trattasse di stesura fraseologica, di termini, paratassi (l’Abrami era grammatico assai esperto e pubblicò libri di grammatica per la scuola media).
E che cosa può significare, nella dedica bargelliniana «…questo caffè ch’egli ha conosciuto in chicchi e mi ha aiutato a tostare»?, se non il fatto che l’Abrami aveva letto i testi dell’amico Piero e lo avesse aiutato, consigliandolo, emendando, suggerendo modalità linguistiche alternative e più efficaci? Gli anni di collaborazione al «Frontespizio» avevano sicuramente palesato a tutti quanto l’Abrami fosse capace di soccorrere. Soccorrere è portare aiuto a qualcuno. Portare aiuto, nella pubblicazione di un testo, talvolta, può persino significare riscrivere interi «periodi».
Dunque, Abrami «revisore grammaticale e stilistico», che è appunto ciò che sospettavamo e volevamo insinuare.
La domenica pomeriggio era il giorno di ricevimenti. Tra gli invitati c’era anche Giorgio Abrami. L’aveva portato Piero Bargellini, l’amico di sempre. C’erano là il musicista Vito Frazzi, sempre un po’ sornione, l’anglicista Piero Rebora, il marchese Torrigiani col faccione rubicondo (talvolta in compagnia del figlio letterato), l’avvocato Fortuna, ed un altro aristocratico, il Ridolfi, insieme a Nicola Lisi, Bruno Cicognani, il pittore Primo Conti e Carlo Betocchi. Non mancava la pecora nera: Enrico Sacchetti, disegnatore e caricaturista, sempre aggressivo nei confronti di Piero Bargellini («Ma Bargellini quando la farai finita di darti tutte quelle arie?»).
A quel tempo Giorgio Abrami fu ripreso più che mai dalla passione di scrivere, traducendo Marziale. Giovanni Papini, malgrado tutta la sua stima per l’esule istriano non era molto convinto dei suoi epigrammi: «Caro Abrami, tu non pungi ma ricami». Ne spiegava la ragione con lo spirito evangelico del suo autore seppur apprezzasse l’eleganza di quelle «frecce scagliate su volpi e barbagianni» come ebbe a scrivergli in un saluto augurale dopo una difficile operazione che Giorgio Abrami ebbe a subire. Molti degli epigrammi sono leggibili nella raccolta antologica curata da Dino Provenzal ed edita da Ceschina all’inizio degli anni ’60. Ma la scena letteraria fiorentina doveva subire una drammatica svolta. Giovanni Papini scompariva, stroncato dal male. Piero Bargellini si lasciava attirare dalle sirene della politica. Così, per Giorgio Abrami tornò il tempo dell’umiltà e del silenzio. Ma ora è tempo di riparlarne.