di Gianni Rossi Non nasconde la sua preoccupazione per la crisi ma è ottimista sulle potenzialità di Prato. Il presidente della Provincia Lamberto Gestri parla del primo periodo del suo mandato in un’intervista per il tg di Tv Prato e per Toscana Oggi. Presidente, sono passati i primi cento giorni del suo mandato. Qual è il suo personale bilancio? «Credo che sia un bilancio positivo: le cose fatte sono importanti. Alcui progetti sono già stati varati: mi riferisco, per esempio, a quello sul pacchetto – lavoro. Abbiamo messo in campo due milioni e 700mila euro, in favore di chi perde il lavoro, dei cassintegrati e di chi cerca lavoro. Tra l’altro si tratta di un progetto che mette in movimento, valorizza e fa diventare sistema diversi progetti già presentati dai Comuni della Provincia». Ha fatto riferimento alla crisi del tessile: da questo suo osservatorio come vede la situazione dell’autunno e dell’inverno? «Penso che purtroppo il peggio non sia ancora passato e che i prossimi mesi saranno molto difficili. Ho notizie di aziende a Prato che stanno ristrutturando di nuovo la propria attività, avendolo già fatto in tempi recenti. E questo ovviamente ha conseguenze difficili sul mondo del lavoro. Penso che si sia a una svolta davvero. Prato e il suo distretto tessile non sono attrezzati ad affrontare le prove difficili che la crisi impone. Bisogna riorganizzarsi. Ristrutturare il distretto vuol dire fare aggregazione, aumentare le dimensioni delle imprese facendo delle fusioni o acquisizioni; bisogna anche che ci sia – obiettivo non secondario – un rapporto diverso sul piano etico fra gli operatori del settore». Profilo da sempre delicato, questo, ora con la crisi più che mai… «Andando avanti come si sta andando negli ultimi mesi, il rischio è che certi comportamenti riducano ulteriormente le possibilità di ripresa del distretto. Mi riferisco per esempio alle questioni dei concordati preventivi. L’allarme è stato lanciato anche nel nord Italia, nelle zone più ricche e più forti. Questi concordati preventivi, a cifre irrisorie, 20, 10, addirittura anche il sette per cento, minano la capacità di resistenza del distretto. Così si torna a lavorare con i sistemi di prima, facendo concorrenza sleale a chi lavora e paga le tariffe giuste ai terzisti. In questo quadro è evidente che il conto più salato lo pagano i terzisti che sono costretti per sopravvivere a lavorare a tariffe da fame». Lei ha accennato ad alcune questioni che sono sul tavolo del distretto. L’ultima novità è l’inserimento di Prato nelle aree di crisi delle leggi 99 e 181. È stata una mossa del sindaco Cenni; dica la verità, presidente, ne è rimasto sorpreso? «Dopo tutta la parata dei ministri che ci sono stati in campagna elettorale, presidente del Consiglio compreso, mi aspettavo qualcosa di simile. Non è una sorpresa. La questione vera è un’altra, capire se questi strumenti sono davvero efficaci per Prato. Avendo un distretto articolato su piccolissime imprese, poco strutturate e poco capitalizzate, credo che questi strumenti (che, parliamoci chiaro, è bene che ci siano, non ne sono assolutamente contrario) mal si attagliano alle dimensioni del sistema Prato. In più sono strumenti che aiutano chi investe e chi ci mette i soldi. E per le dimensioni piccole delle aziende e per la crisi, è una capacità in questo momento ridotta nel distretto». Ma dopo tante riunioni, non è ora il tempo di fatti concreti anche per il tavolo di distretto? «Il tavolo del distretto deve lavorare su tre questioni fondamentali: la prima è ovviamente quella dell’aiuto al sistema tessile, che però deve mettersi in condizione di essere aiutato. Come? Facendo aggregazioni con sistemi di livello nazionale e regionale. Il sistema di fare ognuno il proprio campionario, ognuno il proprio tipo di vendita, ognuno le proprie mostre a livello nazionale e internazionale, è uno spreco che non ci possiamo più permettere. Il secondo punto è la questione degli ammortizzatori sociali, che stanno scadendo. Il ministero del lavoro ci deve ascoltare, perché altrimenti ci troveremo assolutamente scoperti. Il terzo punto è quello del futuro. Non possiamo pensare di affrontare questa fase difficile soltanto sull’emergenza. Dobbiamo pensare anche al futuro e diversificare. Per questo bisogna valorizzare alcuni strumenti che stanno per partire, mi riferisco al Creaf, il centro di ricerca e alta formazione che la Provincia, insieme ad altri enti, ha messo in piedi e che partirà con il nuovo anno. C’è una grande attenzione in questa direzione da vari settori, sia privati sia pubblici, sia in centri universitari, sia centri di ricerca. Un’occasione che dev’essere capita fino in fondo da tutti i settori dell’economia pratese. E in questo caso il tavolo del distretto è il luogo giusto per parlarne e per decidere insieme gli indirizzi che dobbiamo assumere». Nel tavolo di distretto siede il sindaco Cenni. La novità è quella di avere Provincia e Comune con due colori diversi. Quale strada fra competizione e concertazione? «Io credo che ci siano tutte e due. Sarebbe ipocrita dire che non c’è competizione. Ma c’è anche concertazione. Competizione anche perché sono due enti diversi, hanno compiti diversi, e questo è un bene. La concertazione l’ho sempre sostenuta fin dalla campagna elettorale: su alcune grandi scelte, sia nelle infrastrutture, sia nel distretto e nell’uso di certi strumenti (Creaf), fra Provincia e Comune non può non esserci un’intesa». Il centrodestra l’ha recentemente criticata per non essere stato presente ai tavoli fiorentini dell’area metropolitana… «La critica è pretestuosa. C’è stata una riunione dei Comuni della “cintura” fiorentina con la Provincia e il Comune di Firenze: non c’era neanche il Comune di Prato. Sulla questione dell’area vasta non c’è bisogno di polemiche sui giornali, ma vedere nel concreto le varie soluzioni, vagliarle scientificamente. Intanto è importante che la Provincia di Prato con quella di Pistoia e Firenze abbia istituito un tavolo di confronto, con un gruppo di lavoro che esaminerà tutte le questioni dell’area vasta. Siamo in tempo per dire la nostra in tutti i tavoli. La Regione ha finalmente convocato un tavolo per il 9 novembre dove saremo ascoltati tutti». Lei è il principale rappresentante istituzionale del centrosinistra nel nostro territorio. Come può recuperare terreno il suo partito dopo la sconfitta storica in Comune? «Dobbiamo capire la lezione che abbiamo avuto, ma anche far posare la polvere di una certa strumentalizzazione: la questione sicurezza e la paura che è stata ingenerata nella gente, il presunto lassismo della sinistra nei confronti dell’immigrazione Il tempo darà un giudizio vero su queste questioni. Non ho nascosto la mia posizione, soprattutto sulla sicurezza e sull’immigrazione, cinese in particolare. È una realtà che c’è e dobbiamo affrontarla con i controlli, con l’imposizione della legalità ma questo non è sufficiente. Bisogna passare a una fase di apertura e di intese su varie questioni. Io sto lavorando in questa direzione, rischiando forse anche l’impopolarità. Ma è una strada che in tutto il mondo i territori che hanno avuto questo fenomeno hanno dovuto percorrere. Chi promette soluzioni miracolistiche sbaglia, non porteranno da nessuna parte. Per la riconquista di un presidio perso, dipende dal partito, dai risultati del cambiamento politico a Prato. Sarà una questione che non riguarda solo il Pd. Per la Provincia sento solidarietà, apprezzamento, si sta facendo un lavoro importante». Un anno fa ci fu il terremoto che portò alla mancata ricandidatura di Romagnoli e Logli. Da allora fino alla sconfitta in Comune, a dire il vero, non ci sono state molte autocritiche in casa Pd. «Il dibattito, è vero, è stato carente. Alcune cose le ho dette al momento opportuno, ma non è stata -questa – la regola di molti che hanno pensato fosse meglio evitare il confronto. Io credo che il Pd abbia grandi potenzialità. C’è stato il congresso, che ha portato ad una significativa mescolanza di provenienze. Superata questa fase, il partito può rientrare anche autorevolmente in campo anche sul territorio pratese». I pratesi sembrano ripiegati su se stessi. È ottimista? «Prato deve fare una ripartenza, le storie del passato non ritornano. Abbiamo avuto una città che si è autoriprodotta sul modello piccolo è bello. Si riproducevano pezzi di economia sempre sullo stesso modello. Questo non è più possibile, i tempi sono cambiati e ci vuole un ragionamento diverso. Pensare di aspettare gli ordini per risolvere il problema è semplicistico. Ma occorre attrezzarsi meglio e ristrutturarsi, ricostruendo un tessuto comunitario e ripartendo anche dalla società civile. Ma se si vince la tentazione di dare la colpa agli altri delle cose che non vanno, se si vince la tentazione di attribuire agli stranieri i problemi (che intendiamoci ci sono), riusciremo allora a trasformare le difficoltà in opportunità e il tempo ci darà ragione».