Lettere in redazione
Germania, dai vescovi un decreto sorprendente
Ho letto con meraviglia l’articolo uscito sul Corriere della Sera, lunedì 1° ottobre che riguarda il decreto approvato dalla Conferenza episcopale della Chiesa tedesca e ratificato dal Vaticano. Il decreto prevede di negare i sacramenti ai fedeli che non pagano la tassa straordinaria per finanziare le attività religiose. Il contributo richiesto non è indifferente specialmente in questo tempo di difficoltà e di crisi per tante famiglie se si pensa, ad esempio, che chi riceve un salario lordo di 3.500 euro (netto forse di 2.000 euro) deve versare al fisco 56 euro al mese. Così molti cattolici tedeschi si stanno cancellando dall’anagrafe di appartenenza alla Chiesa!
È giusto e corretto educare i credenti a contribuire alle necessità della Chiesa secondo le leggi e le usanze, ma legare questo dovere all’amministrazione dei sacramenti è, a mio avviso, un comportamento inqualificabile e non evangelico. La decisione sembrerebbe evocare il peccato di simonia!
La grazie di Dio non ha prezzo; è già stata abbondantemente pagata dal sacrificio di Cristo! Il Vangelo afferma: «Cercate prima il Regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato».
La fede ci invita ad avere fiducia nella provvidenza e a credere nella spontanea generosità dei fedeli; basta pensare all’esempio della «vedova evangelica» che senza esser costretta da nessuno, ma di sua spontanea volontà, getta nel tesoro del tempio, come obolo, due spiccioli, ed era tutto quello che aveva!
I sacramenti, comunque, sono un dono di Dio dato agli uomini per il loro cammino di vita, non sono commerciabili e non possono essere legati a contributi in denaro!
Premetto subito che anche a me questa decisione della Chiesa tedesca piace poco. Al di là delle intenzioni (fermare un’emorragia pretestuosa di fedeli ed invitare alla coerenza) mi sembra che finisca per creare inciampo alla missione della Chiesa che è quella di annunciare agli uomini e donne di oggi la «buona notizia» ed essere per loro strumento di salvezza. Mi chiedo (ma non ho la risposta pronta) se non si potevano trovare altre vie per contrastare questo tipo di «abbandoni». Bisogna però contestualizzare quanto è successo in Germania, per evitare giudizi affrettati e facili conclusioni. Non è che i vescovi tedeschi hanno deciso di amministrare i sacramenti soltanto a chi paga, perché allora sarebbe davvero una forma di «simonia». La vicenda è un po’ più complessa. Cerchiamo di capire. In Germania esiste una normativa statale che prevede una specie di «anagrafe» religiosa, che ha «anche» (ma non solo) conseguenze fiscali (la «Kirchensteuer», cioè la tassa a favore di una confessione). È certamente un retaggio delle lotte religiose seguite allo «strappo» di Lutero e che è ormai entrato nella cultura tedesca. Non è del tutto paragonabile al nostro meccanismo dell’«8 per mille», che è invece totalmente libero e sostanzialmente anonimo.
Il caso che ha dato origine al controverso pronunciamento della Conferenza episcopale tedesca era stato sollevato nel 2009 da Andreas Janker, un ingegnere di Ratisbona che – pur continuando ad essere un cattolico praticante – aveva chiesto di uscire dalla Chiesa «ufficiale», perché si rifiutava di versare una tassa che – a suo dire – finanziava operazioni commerciali, che lui riteneva non in linea con i principi del vangelo. La Chiesa tedesca aveva ritenuto inaccettabile l’atteggiamento del signor Janker, appellandosi alla Santa Sede, anche per fermare quella che sembrava esser diventata una «moda», con quasi 100 mila abbandoni in un solo anno. Se uno chiede di cancellarsi dal registro dei credenti, evidentemente avrà le sue buone ragioni e non dovrebbe preoccuparsi se questo lo pone fuori da quella comunità religiosa, con tutte le conseguenze del caso. Qui però lo si faceva solo per contestare alcune scelte in campo economico o finanziario della Chiesa. Anche sul piano civile il Tribunale di Lipsia ha dato torto al signor Janker, sostenendo che chi è cattolico «non può chiedere allo Stato di limitare i diritti della Chiesa». Il che può essere anche giusto, ma ci riporta alla domanda iniziale: legare così strettamente la «Kirchensteuer» alla possibilità di partecipazione alla vita della Chiesa non crea solo scandalo?
Claudio Turrini