Italia
Gender e unioni civili, non possiamo restare indifferenti
Un’«azione culturale» per contrastare la teoria del gender. È l’appello lanciato dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, nella conferenza stampa al termine del Consiglio permanente. Già il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione aveva parlato del gender come di una «manipolazione da laboratorio», per «costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto. Individui fluidi per una società fluida e debole». Ne parliamo con il sociologo Sergio Belardinelli, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna.
Come si può fronteggiare culturalmente la teoria del gender?
«Ritengo che si debba innanzitutto depotenziare quel surriscaldamento ideologico che la questione ha assunto. I fautori del gender sembrano ‘invasati’ da questa nuova frontiera, e questo non fa bene a nessuno. Questa è la prima emergenza, risolvibile con un pizzico di ragionevolezza. Forse troppo a lungo anche noi cattolici ci siamo abbarbicati su un concetto di natura dal quale abbiamo preteso di dedurre con assoluta certezza i comportamenti sessuali corretti: se questo è stato un errore, ora stiamo cadendo nell’errore opposto, nel pensare di poter neutralizzare totalmente la natura, facendo credere che la sessualità non sia altro che un orientamento sessuale puramente culturale e, in quanto tale, dipendente esclusivamente dalle nostre scelte. È vero che gli uomini sono liberi di scegliere, ma pretendere che questo diventi la norma sociale riconosciuta e il criterio regolativo di ogni cosa mi sembra eccessivo».
Quali strumenti si possono mettere in campo? Monsignor Galantino ha parlato di «decidere se, attraverso la mobilitazione, si risolve il problema oppure avendo docenti capaci di rispondere con la testa a certi tipi di problemi»…
«A priori è difficile stabilirlo. Per ora è importante capire che da questa battaglia culturale non ci si può tirare indietro. Con il dovuto rispetto nei confronti di tutti e con la dovuta prudenza, ma anche con una certa disinvoltura, sapendo che ci sono buoni argomenti per fronteggiare questa ideologia».
Non è una battaglia di cattolici contro laici…
«Niente affatto, è una questione di ragione, anzi, di ragionevolezza. Usciamo dalle gabbie ideologiche, discutiamo pure animatamente, cerchiamo di trovare un punto d’incontro, ma non chiedeteci di restare indifferenti di fronte a un tema come quello della sessualità che è decisivo in una concezione antropologica».
Cosa può fare la scuola?
«Tantissimo. Ciò che, piuttosto, non dovrebbe fare è prendere indebite scorciatoie, propinando testi che danno per scontato ciò che tutti sanno non essere affatto scontato, ovvero che la sessualità sarebbe ormai soppiantata dall’ideologia del gender. Sono furbizie, atteggiamenti ideologici, veri e propri soprusi da evitare se si vuole dar vita a un dialogo che sia fruttuoso per tutti».
E le famiglie che mandano i loro figli a scuola?
«La famiglia non deve abdicare al suo ruolo educativo. Se è consapevole di quanto sia delicato oggi il problema educativo, dei temi in gioco, evidentemente anche una scuola che dovesse avviarsi sulla deriva del gender verrebbe fermata. La realtà è che c’è una sproporzione enorme tra ciò che possono fare le famiglie e quel che si riesce a fare ideologicamente attraverso i mass media, la scuola, certe pubblicazioni e così via. È una grande sfida culturale da raccogliere: trovo sia naturale che le famiglie abbiano diritto di esprimersi su cosa s’insegna ai figli in materia di gender».
Sulle unioni civili, invece, si è parlato di «equiparazione forzata» di realtà tra loro diverse. È anche questo un fronte culturale?
«Anche qui c’è da evitare il surriscaldamento ideologico. Sarebbe già un passo avanti se riuscissimo a far capire che il matrimonio tra un uomo e una donna è qualcosa su cui la società ha costruito se stessa, è radicato nella storia e nella cultura, e sarebbe un grave vulnus renderlo un patto qualsiasi».
Passa anche da qui la battaglia per introdurre il gender?
«Sì, e per questo bisogna mitigare l’esasperazione ideologica. Tra il riconoscere i diritti di coppie che decidono per qualsiasi ragione di stare insieme ed equiparare un patto tra omosessuali e tra eterosessuali ci sono tante possibilità intermedie che non possiamo lasciarci sfuggire. Per salvare il matrimonio e l’identità sessuata servono argomenti convincenti, liberi dai pregiudizi. Per fortuna questi buoni argomenti ci sono: per questo la battaglia va fatta. Riguardo poi all’esito, decideranno i cittadini».