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Gaza, nella striscia dell’odio

di Francesco Bettinivolontario Operazione ColombaSono venuto a vivere nella Striscia di Gaza per capire. Pochi giorni fa un ragazzo riservista della mia età di nome Shigdaf Garmai, trent’anni, ha perso la vita, colpito da un tiratore palestinese poco lontano da dove abitiamo noi. Forse pochi chilometri mi hanno separato, in questi mesi, dal lavoro di questo soldato che aveva deciso di obbedire agli ordini. Non l’ho mai visto in faccia ma forse ho sentito il rumore del suo fucile riecheggiare nella notte, forse più per paura che per rabbia.L’omicidio è avvenuto nei pressi dell’insediamento di Tel Qateifa. Non conosco questo posto, vietato a tutti i palestinesi, agli stranieri e agli israeliani che non siano coloni. Probabilmente è un posto dove le case sono belle e ordinate con i loro «tipici» tetti rossi. Probabilmente a Tel Qateifa si sente l’odore del mare e magari passeggiando pochi minuti si arriva anche a toccarlo. A Tel Qateifa ci vivono due persone e le sue case sono state costruite nel ’92 su di un area di 176 acri di terra.Per chi e perché è morto il soldato Shigdaf Garmai? È morto per difendere Israele o la sua politica coloniale nella Striscia di Gaza? L’insediamento di Tel Qateifa fa parte dei dodici insediamenti racchiusi dal «Blocco di Katif» (Gush Katif) che prende tutta la fascia costiera nelle municipalità di Khan Younis e Rafah, casa di circa 4400 coloni dei 5940 di tutta la Striscia (dati agosto ’99) e che racchiude al suo interno anche i villaggi palestinesi che formano la zona detta di Mawasi, dove i circa 4500 palestinesi vivono tra molte difficoltà. Entrare nell’area è molto complicato per i residenti, e impossibile per tutti gli altri.Chi è colpevole della morte di Shigdaf Garmai? Solo chi ha sparato? O anche chi, da una parte e dall’altra ha creato le condizioni di un conflitto? Nell’abitato di Qararah nel sud delle Striscia di Gaza, nella notte tra il 21 e il 22 novembre mezzi corazzati israeliani sono penetrati numerosi, guardati a vista da elicotteri da guerra Apache, per uscirne circa quattro ore dopo lasciando alle loro spalle due case demolite. Le demolizioni hanno preso di mira la casa di un attivista di Hamas ucciso in un attacco contro un insediamento ebraico nel dicembre del 2001 e quella di un’altra persona ricercata dalle truppe israeliane. Ad operazione finita il portavoce dell’Idf ha dichiarato che queste azioni sono il prezzo da pagare per «chiunque partecipa ad attività ostili». Tutto lineare e «pulito» ma quello che le cronache quotidiane non raccontano è la paura negli occhi di tutti, soprattutto in quelli dei più piccoli che troppo spesso sono strappati al sonno dai rumori dell’occupazione, carri armati, spari, esplosioni, elicotteri da combattimento, aerei spia.Questi bambini che ci guardano con gli occhi sbarrati covano nel loro cuore un sentimento che se non fermato subito si trasformerà in odio. Queste azioni dell’esercito non difendono Israele, anzi lo mettono in maggiore pericolo perché creano ancora più rabbia fra le parti. Ha scritto il poeta israeliano Yitzahk Laor: «Qual è l’oggetto della guerra tra noi e i palestinesi? Il tentativo di Israele di ridurre ciò che resta della Palestina in cantoni, costruendo “strade di separazione”, nuovi insediamenti e checkpoint. Il resto è uccisioni, terrore, coprifuoco, demolizioni di case e propaganda. I bambini palestinesi vivono nella paura e nella disperazione, i loro genitori vengono umiliati davanti ai loro occhi. La società palestinese viene smantellata, e l’opinione pubblica in Occidente biasima le vittime – da sempre il modo più facile di affrontare l’orrore. Lo so bene: mio padre era un ebreo tedesco». Qualcuno dice strumentalmente che gli arabi non amano la democrazia, che in Israele si vota mentre nei territori amministrati dall’Anp non lo si fa. È probabilmente vero ma tutti i giorni vediamo i semi più vivi della nascente coscienza democratica palestinese soffocati da un’occupazione che ha proprio come suo obiettivo quello di non far comunicare le persone, e perché i nostri media non raccontano mai storie di chi da una parte o dall’altra lotta per la democrazia la libertà e la sicurezza? Quale è l’oscuro potere che costringe Paolo Longo, corrispondente della Rai, a parlare solo dei campi estivi di Hamas e di Jahad dove ai bambini viene insegnato l’odio. Perché non si è parlato dei numerosi campi organizzati da diverse organizzazioni dove ai bambini si insegnano i loro diritti e si cerca di regalare loro un po’ di spensieratezza e gioco?Come vogliamo che sia il nostro futuro? Vogliamo che assomigli a quello israeliano fatto di paura? L’arma più potente che noi occidentali ricchi abbiamo in mano per fermare i vari Bin Laden e Shaddam Hussein è la giustizia. Giustizia per i poveri vuol dire combattere i terroristi, toglier loro potere vuol dire far mancare i soldati per le loro guerre sante. LA SCHEDAL’Operazione Colomba è nata nel 1992 con la guerra jugoslava, in seno alla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, dal desiderio di provare a vivere la nonviolenza in zona di guerra e di condividere la vita di chi è costretto a subire la violenza dei conflitti. Si tratta di un «corpo civile di pace», aperto a tutti e composto anche da obiettori di coscienza, che dal ’92 al ’97 è stata presente in Croazia, Bosnia Herzegovina e Jugoslavia; nel ’97 in Albania e in Sierra Leone; dal ’98 al 2000 in Kossovo-Albania e Macedonia; nel settembre-ottobre ’99 a Timor Est, in Indonesia. Attualmente opera in Cecenia, nel Chapas, nella Repubblica Democratica del Congo. Dal febbraio 2002 è iniziata anche una presenza in Palestina, nella Striscia di Gaza, con tre volontari, tra i quali l’autore di questo articolo. Per finanziare queste iniziative è possibile inviare offerte sul ccp n. 13792478, intestato all’Associazione Papa Giovanni XXIII, Onlus, via Mameli, 1, Rimini, specificando nella causale: «Operazione Colomba».Per informazioni, tel. n. 0541-751498 www.operazionecolomba.org.