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G8, l’impotenza dei «Grandi»

di Riccardo Moro La prima volta della Russia come Paese ospitante del G8 sembra essere andata bene, almeno dal punto di vista organizzativo, ma l’impressione è di un vertice sottotono. Abbiamo assistito a un round in cui i partecipanti sembravano osservarsi reciprocamente, più che agire insieme.

L’agenda proposta iniziava col regolamento del mercato delle materie prime in campo energetico, un argomento importante in cui la Russia, in questo periodo di petrolio alle stelle, ha un potere contrattuale altissimo, spendibile per ottenere vantaggi in altri ambiti. Quindi si proponeva il coordinamento e riconoscimento reciproco dei percorsi di istruzione, una esigenza fortemente sentita in Russia, le cui università hanno subito una riduzione del loro prestigio internazionale dopo il crollo del sistema di influenza sovietico. Infine il coordinamento tra i diversi sistemi sanitari per contrastare infezioni quali l’influenza aviaria. Nessuna o scarsa attenzione per i temi di solidarietà internazionale che avevano caratterizzato il vertice dell’anno scorso e nemmeno la proposta di un percorso di monitoraggio degli impegni assunti nei summit precedenti.

L’anno scorso un Tony Blair già in campagna elettorale, aveva girato le capitali europee chiedendo solidarietà per l’Africa al grido di «ora e mai più», e aveva chiesto a Bob Geldof di organizzare i concerti «Live 8», per creare consenso intorno agli Obiettivi di sviluppo del Millennio e al ruolo degli otto. Secondo i maligni in realtà Blair sperava proprio in una reazione fredda da parte dei partner, perché gli impegni che chiedeva sarebbero stati difficili da mantenere. Ma la richiesta altisonante gli avrebbe giovato in termini di immagine, per le imminenti elezioni.

Il vertice di quest’anno mostra una differenza di toni che si riconosce anche nei documenti finali. Nel «chair’s summary», che da qualche anno sostituisce il comunicato finale, i tre temi articolano la parte principale del documento, seguiti da un generico paragrafo intitolato «altri temi», e da una conclusione dedicata alla sicurezza internazionale.

Rispetto alle premesse vi è qualche cambiamento. Alcuni sono formali. Si parla di sicurezza energetica globale e non più di regolazione dei mercati energetici, ma la sostanza non cambia molto se non per l’aggiunta di una riga dedicata all’impatto sul clima delle scelte in campo energetico. Altri sono di maggiore sostanza, come l’esplicita citazione del programma «Education for All», istruzione per tutti, che trasforma in qualche modo la preoccupazione russa sui titoli di studio in un’attenzione a programmi scolastici efficaci in tutto il mondo per avere cittadini preparati. Anche in tema sanitario l’attenzione è stata allargata, il paragrafo è intitolato alle malattie infettive e viene citato il Global Found lanciato a Genova per malaria, tubercolosi e Aids, ma maggiore sembra la preoccupazione suscitata dall’influenza aviaria, citata diverse volte.

In continuità con il percorso degli anni scorsi, un solo documento dedicato all’Africa, che si apre col capitolo «pace e stabilità» e descrive l’attività di assistenza e formazione in campo militare che gli otto dedicano ai governi africani. Un tema da non dimenticare per la prevenzione dei conflitti, ma che forse non avremmo citato alla prima riga.

Insomma, concluso il vertice San Pietroburgo, torniamo agli abituali dubbi sull’efficacia di questi incontri e sul reale livello di discussione che si sviluppa. Mentre a Mumbai si contavano i morti e in Libano deflagrava la sconvolgente crisi con Israele, gli otto a San Pietroburgo parlavano di influenza aviaria. L’influenza aviaria non entra nemmeno nelle statistiche internazionali di mortalità, tanto è piccolo il suo impatto. Possibile che parlassero solo di quello?