Opinioni & Commenti
G8, la favola degli aiuti per battere la fame
DI RICCARDO MORO
Se diventare adulti significa non credere più alle favole, c’è da chiedersi se nei giorni del G8 il mondo dell’informazione si sia improvvisamente popolato di tanti Peter Pan che raccontavano ammirati di come fossero diventati buoni gli otto leader a regalare venti miliardi per combattere la fame in Africa. Le favole sono belle. Ma noi preferiamo la realtà. E quando si parla di fame vorremmo si dicesse la verità.
Qual è la verità sui soldi promessi all’Africa? Gli otto hanno annunciato il primo giorno del vertice dell’Aquila che entro il 2010 avrebbero aumentato ogni anno il proprio aiuto al Sud del mondo di 50 miliardi di dollari rispetto a quanto erogavano nel 2004, concentrandone 25 in Africa. Il terzo giorno, durante la riunione con diversi leader africani e di tutto il mondo, hanno licenziato un documento sulla sicurezza alimentare in cui quantificavano in venti miliardi di dollari il denaro che i vari governi si sarebbero impegnati a mobilitare per ridurre la vulnerabilità alimentare in Africa. Alcuni leader in conferenza stampa hanno annunciato con grande enfasi il risultato e quasi tutti i giornali hanno reagito titolando a pagina piena.
Ma proviamo a ragionare. Nel testo che annuncia i venti miliardi non c’è la paraola addizionale: si tratta semplicemente di una specificazione della destinazione . Venti miliardi in tre anni, cioè poco più di 6 miliardi e mezzo l’anno, presi dagli aiuti erogati in Africa, saranno destinati al cibo. Un po’ poco per otto colonne.
Approfondiamo ancora. Se i venti miliardi non sono dollari in più, potrebbero esserlo i 50 miliardi l’anno di cui si parla nel comunicato del primo giorno e si giustificherebbe l’entusiasmo. Ma con un po’ di memoria, e forse un po’ di pignoleria, si può verificare che il punto 100 del comunicato finale del G8 2009, quello appunto dei 50 miliardi, è la riproposizione quasi letterale dei punti 27 e 28 del documento che conteneva gli impegni per l’Africa del G8 sottoscritti a Gleneagles nel 2005. In sostanza si rinnovano le promesse del 2005. Promesse mantenute? Nel 2004 il totale degli aiuti ammontava a 79,4 miliardi di dollari. Allora si riteneva, questo il senso del comunicato di Gleneagles, che a sua volta riprendeva calcoli ONU, che oltre a questi ne occorressero almeno 50 in più ogni anno entro il 2010 per finanziare gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio del 2015.
Con 130 miliardi, peraltro, si sarebbe raggiunto grosso modo lo 0,5% del PIL destinato agli aiuti, avvicinandosi ad onorare la promessa fatta negli anni ’60, e mai mantenuta, di mettere a disposizione della cooperazione lo 0,7% del PIL dei paesi ricchi. Questa soglia si sarebbe raggiunta, si impegnavano ancora gli otto nel 2005, tra il 2010 e il 2015, per la fase finale del raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. Ebbene nel 2005 gli aiuti salgono a 107 miliardi, nei due anni successivi scendono a 104 e 103, nel 2008 arrivano a 119. Secondo l’impegno avrebbero dovuto essere 130 ogni anno. Rispetto ai propri impegni i paesi ricchi, non parliamo solo degli otto, sono inadempienti negli ultimi anni rispettivamente per 23, 26, 27 e 11 miliardi. E i 119 miliardi del 2008 valgono lo 0,3% del PIL, parecchio lontano dallo 0,5%. Oltretutto ci sono timori per il 2009. Alcuni governi sono tentati di ridurre gli aiuti, giustificandosi con la scusa della crisi, come ha fatto quello italiano, che li ha contratti del 56% decidendolo a luglio scorso, ben prima dello scoppio della crisi.
Di questo G8 si dovrebbe dire ancora molto: dell’impegno sul clima, del ruolo di Obama, del formato obsoleto Ma la prima considerazione è l’esigenza di verità intorno a chi ha responsabilità globali. I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati nella verità affermava Giovanni XXIII nella Pacem in Terris quando parlava dei quattro pilastri della pace: verità, giustizia, amore e libertà. E allora cerchiamo di essere chiari. Non c’è nessun impegno nuovo: i ricchi, e gli otto in particolare, sono in ritardo grave sulle loro stesse promesse. Le hanno rinnovate per raggiungere i 130 miliardi almeno nel 2010. Hanno detto che una quota importante di questi 130, se mai li doneranno, andrà all’Africa. E fra questi ci sono i 6,6 miliardi per tre anni per la sicurezza alimentare – i famosi venti miliardi – che hanno fatto i titoli dei giornali. Inoltre dal 2002 manca un accordo per il commercio internazionale, auspicato per l’ennesima volta dal Communiqué, che consenta ai paesi poveri di vendere nei mercati del mondo alle stesse condizioni dei ricchi.
Sarebbe questo il successo di cui parlavano i giornali e le tv? Lo si chieda a chi in Africa in questi quattro anni di promesse disattese ha avuto fame e sete e non ha potuto vendere i suoi prodotti. A marzo il G20 ha ricordato con orgoglio che in pochi mesi per fronteggiare la crisi finanziaria erano stati messi a disposizione dai governi 5.000 miliardi di dollari. 5.000 in pochi mesi per la crisi, 119 in un anno per lo sviluppo. Servono altre parole?