La nostra missione in Afghanistan, come in altri teatri operativi, è di pace, perché porta stabilità e sviluppo, difendendo la nostra sicurezza nazionale e l’intero Occidente dalla minaccia del terrorismo globale. A ricordarlo è stato l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, che oggi a Campobasso ha celebrato i funerali del militare italiano, Alessandro Di Lisio, morto in un attacco in Afghanistan. A nessuno ha ricordato mons. Pelvi – può sfuggire la generosità del nostro Paese che, oltre a garantire la sicurezza del territorio, sta aiutando, con risorse economiche e personale civile, a ricostruire le Istituzioni di quel Paese, come pure le infrastrutture – dalle strade, alle scuole, agli ospedali – e l’economia, in particolare l’agricoltura necessaria per sostituire quella dell’oppio che finanzia i terroristi. Il terrorismo, purtroppo, ha paura dalla solidarietà, perciò manifesta il disprezzo per la vita umana. Ma le nostre Forze Armate, a cui le Istituzioni stanno garantendo ogni sicurezza di mezzi e strutture, con la conquista pacifica dei cuori e delle menti, continueranno, con l’energia e la determinazione di cui sono capaci, a salvaguardare quella convivenza umana per ogni popolo, cultura e religione. La pace, la democrazia e la concordia dei popoli ha sottolineato l’arcivescovo castrense sono fondamentali per la nostra comune umanità e per la cultura del popolo italiano: una convinzione questa che qualifica e fa condividere largamente nell’opinione pubblica le missioni di pace in vista di una promozione di comprensione, di riconoscimento reciproco e di cooperazione serena fra tutte le componenti della famiglia umana.Le missioni di pace ha poi aggiunto – ci stanno aiutando a valutare da protagonisti il fenomeno della globalizzazione, da non intendere solo come processo socio-economico, ma criterio etico di relazionalità, comunione e condivisione tra popoli e persone. Procedendo con ragionevolezza e guidati dalla carità e dalla verità, il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di solidarietà e di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano. Se riconosciamo di essere una sola famiglia umana, non possiamo non aiutare chi è nel bisogno, perché sia salvaguardata ogni vita umana e la dignità di ogni uomo e di tutto l’uomo. Concludendo la sua omelia mons. Pelvi ha riaffermato un grande obbligo di riconoscenza, un debito di amore nei confronti di Alessandro e dei nostri militari, che danno prova di una straordinaria forza interiore, sopportando grandi sacrifici sino al doloroso contributo della loro vita. Anche in questa occasione sentiamo il dovere di rivolgere loro il nostro commosso pensiero e lo rivolgiamo sapendo che l’Italia si unisce a noi nel dolore e nella gratitudine per il loro sacrificio.Sir