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Funerali Giovannetti, Manetti: “Un’eredità da raccogliere”

Una cattedrale di Fiesole piena per l’ultimo saluto al vescovo emerito Luciano. La celebrazione delle esequie, martedì 2 luglio, è stata presieduta dal vescovo Stefano. Monsignor Giovannetti è stato sepolto nella cripta della stessa cattedrale di San Romolo

Una cattedrale di Fiesole piena per l’ultimo saluto al vescovo emerito Luciano. La celebrazione delle esequie, martedì 2 luglio, è stata presieduta dal vescovo Stefano e concelebrata dall’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli, dall’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto (vicepresidente della Conferenza episcopale toscana), dai vescovi Roberto Campiotti (Volterra) e Giovanni Paccosi (San Miniato) e dagli emeriti Mario Meini (Fiesole), Rodolfo Cetoloni (Grosseto), Riccardo Fontana (Arezzo), Giuseppe Mani (Cagliari, originario della diocesi fiesolana), Franco Agostinelli (Prato), Giovanni Santucci (Massa Carrara), Roberto Filippini (Pescia), dal cardinale Ernest Simoni e dagli abati Bernardo Gianni (S. Miniato al Monte), Giuseppe Casetta (Vallombrosani) e dall’abate emerito dei vallombrosani Lorenzo Russo. Oltre cento i sacerdoti che hanno concelebrato e tanti i religiosi e le religiose presenti. Molti i rappresentanti delle istituzioni civili (tra i sindaci Cristina Scaletti di Fiesole) e delle autorità militari. Sono stati letti i messaggi del cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e di padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, che per anni ha collaborato con il vescovo Luciano per aiutare i cristiani del Medio Oriente. Carla Gonfiotti – per molti anni segretaria del Consiglio pastorale diocesano – ha letto un ricordo a nome della diocesi di Fiesole. Al termine della celebrazione la bara è stata portata a spalla dai sacerdoti e tumulata nella cripta della cattedrale.

Alcuni momenti del funerale del vescovo emerito Giovannetti nella cattedrale di Fiesole

L’omelia del vescovo Stefano

Insieme alle loro lampade presero anche l’olio in piccoli vasi“. Sono proprio  questi piccoli vasi che fanno la differenza. È per essi che si distinguono le vergini  sagge da quelle stolte. È nelle piccole azioni che si nasconde un amore profondo.  Quando una cosa ci sta a cuore lo si vede dall’attenzione ai dettagli, dalla  preoccupazione nel prevenire eventuali imprevisti, dalla dedizione assoluta  dimostrata per ciò che più si ama. 

Ciò che per la mentalità mondana può essere considerata una scrupolosità eccessiva o uno spreco di energie non necessario, per un cuore che ama è invece sintomo di un  amore più grande. Nell’amore non si calcolano le energie spese, anzi ci sembra  sempre di aver fatto troppo poco. Lo stolto nella Bibbia è colui che non dà  importanza all’amore verso Dio e verso il prossimo (Qoelet 10,2). E infatti il premio  delle vergini sagge è l’incontro con lo sposo, per cui esse “entrarono con lui alle  nozze” in un tripudio di amore. 

Guardando al vescovo Luciano la prima immagine che si presenta per descriverlo è  “artigiano della carità”: per artigiano si intende, così recita il vocabolario, chi esercita  una attività per la produzione o riparazione di beni. Così lo ricordiamo, concentrato  sulla Chiesa a lui affidata, continuamente occupato nel prendersene cura, con un  ritmo del cuore costante nella operosità, senza intervalli grossolani e senza  risparmiare energie. Non si tratta qui di ricordare le sue quattro visite pastorali, per  esempio, o il sinodo diocesano, la visita di Giovanni Paolo II, il Congresso  Eucaristico, oltre alla quotidiana cura pastorale, ma di rappresentarci piuttosto il suo atteggiamento, la sua postura esistenziale, il modo di essere che lo faceva proteso  verso una carità concreta, fatta di piccoli atti quotidiani. Iniziò il suo ministero qui a  Fiesole restaurando la cattedrale e il seminario, quasi a dichiarare simbolicamente il  suo programma pastorale. “L’ho sempre ammirato per il suo ministero episcopale  intensamente vissuto nella diocesi di Fiesole” ebbe a dire di lui il Cardinale Silvano  Piovanelli. “Ci sono note – gli scrisse papa Giovanni Paolo II in occasione del suo  25mo di episcopato – in particolare la tua sollecitudine per la formazione permanente  del clero, la cura nell’incrementare l’apostolato dei laici…il rinnovamento e  adattamento della catechesi”.  

Il vescovo Luciano stesso spiegò il motivo di questa dedizione per il suo popolo,  nell’omelia in occasione dei suoi 80 anni: dalla nomina a vescovo di Fiesole, disse, “ho imparato ad amare questa bella diocesi”. Il suo ministero si può considerare una scuola di amore, di cui egli si considerava il primo alunno, diventato capace di  riconoscere i carismi suscitati dallo Spirito Santo nel Popolo di Dio e di promuoverli con coraggio, specialmente quelli attinenti alla evangelizzazione e alla carità, dando piena fiducia ai giovani. Devo dire che da sabato scorso incontro continuamente volti  segnati da un particolare tipo di lutto: quello della perdita del padre. Ebbene: il vostro  pianto di figli è la testimonianza più bella del suo ministero episcopale. Sì, il vescovo  Luciano aveva uno spiccato dono della paternità, che gli ha permesso di distribuire a  piene mani fiducia, protezione, consolazione, promozione umana. 

Sappiamo bene, cari fratelli e sorelle, quale sia l’origine di quella carità che muoveva  il suo cuore: il chierichetto Luciano quella domenica del 29 giugno 1944 ha visto il  suo parroco, don Alcide, non soltanto celebrare l’Eucarestia ma viverla radicalmente,  diventando somigliante a Colui il cui sacrificio aveva appena ripresentato  sacramentalmente sull’altare: quando dopo la comunione irruppero in chiesa tre  soldati con i fucili spianati, don Alcide andò loro incontro dichiarandosi l’unico  colpevole dell’uccisione dei due tedeschi per i quali avrebbero dovuto pagare con la  vita 100 innocenti, 50 per ogni soldato morto. Il bambino Luciano sentì dire dal suo  parroco mentre la sua mamma lo stava portando via, in sacrestia, per scappare:  “prendete me, uccidete soltanto me, perché sono l’unico colpevole, li ho uccisi io  soltanto”. È questa l’ultima immagine che egli ricordava del suo parroco e si  impresse indelebilmente in lui per sempre. Può trovarsi qui la causa del suo noto zelo  liturgico col quale tutti i cerimonieri si sono dovuti misurare non senza, talvolta, un  po’ di tremarella. La cura della Liturgia è stato senza dubbio un suo carisma  rilevante. Nel giorno del suo ingresso nella diocesi di Fiesole, disse nell’omelia: “inizio il ministero in mezzo a voi con la celebrazione dell’Eucaristia. L’Eucaristia è  il segno dell’unità, in essa noi affermiamo di essere una sola cosa. Ecco il nostro  sforzo: lavorare insieme, camminare insieme, impegnarsi per formare una Chiesa  unita che sia il segno della presenza del Signore». 

Il Signore strapperà il velo che copriva la faccia di tutti i popoli” così ci ha detto il  profeta Isaia. Insieme all’Eucarestia il vescovo Luciano ebbe molto a cuore la pace. Portare a conoscenza le sofferenze dei popoli che sono nella guerra, trovare il modo  di intervenire per alleviare queste sofferenze e promuovere il riscatto dei giovani  dalle condizioni di sottosviluppo da essa causate, per edificare una convivenza degna  della persona umana, sono gli intenti che hanno mosso il vescovo Luciano a creare la  Fondazione Giovanni Paolo II. Così hanno preso vita l’amicizia con la Terra Santa e  il fiorire di rapporti di collaborazione, come anche i numerosi viaggi intrapresi  soprattutto nel Medio Oriente, nelle zone martoriate dalla guerra.  

I Vescovi toscani che lo hanno avuto segretario della Conferenza Episcopale  Toscana, testimoniano del suo amore per la Chiesa e del suo impegno pastorale e per  la pace. Amore compreso dalla Chiesa fiesolana e, posso testimoniarlo, profondamente  ricambiato.  

Il Popolo di Dio che è in Fiesole ti è riconoscente, caro vescovo Luciano, ed è grato  al Signore per il dono che sei stato in mezzo ad esso. Ora lo Sposo che hai servito  tutta la vita è per te arrivato, ti ha accolto nella sua casa e ha chiuso la porta alle tue  spalle, perché a noi non è dato per ora vedere la luce di Dio risplendere sul tuo volto.  Al proposito ho una immagine viva nella mia mente, riemersa appena fui nominato  tuo successore nel servizio episcopale. Quando ero un giovane seminarista mi fu  chiesto di fare l’autista al card. Benelli per tutto il giorno di una domenica. Era il 6  settembre 1981 ed avevo 22 anni. Il cardinale doveva presenziare la celebrazione  dell’ingresso del nuovo vescovo di Fiesole. Ricordo quando imboccammo la salita di  San Domenico e ci dovemmo fermare a causa della coda di auto che arrivava fino a  Piazza Mino. Vedendo l’impazienza del cardinale che era già un po’ in ritardo dovemmo un po’ accelerare e arrivammo giusto in tempo per vedere un giovane  vescovo sorridente scendere dalle scale dell’episcopio per recarsi in cattedrale fra un tripudio di applausi e di voci dei fedeli. <In luce Christi>: ecco, sono stato  involontariamente testimone del momento in cui è nato quel rapporto di amore fra te  e il popolo fiesolano nella luce di Cristo, che ha illuminato per 30 anni il tuo  ministero. Lo ritengo una eredità da raccogliere e da continuare con la tua stessa  fedeltà. 

Vescovo Stefano