«Tu sei venuto dalla terra e noi siamo uomini di terra qui. Sei venuto da una terra semplice dove la santità non è eccezionale ma la santità è normale perché la fede è una roba da uomini normali». Così don Luciano Manenti, padre spirituale di Piermario Morosini, nell’omelia del funerale del calciatore del Livorno, celebrato questa mattina a Bergamo nella chiesa di San Gregorio Barbarigo. Parlando con voce rotta dall’emozione, il sacerdote si è rivolto al giovane appena venticinquenne morto il 14 aprile in campo a Pescara: «Dolce amico mio, timido compagno mio, ripartiamo da te e dalla tua bellissima vita per la quale siamo qui a dirti grazie, per la quale siamo qui a dire grazie». «La fede di questa terra – ha spiegato don Manenti – è la fede dei nostri ragazzi, di questi ragazzi, di questa gente silenziosa perché le è sembrato che il silenzio era già un volume troppo alto per dire ti amo: è la fede della tu famiglia, della tua Anna, del oratorio, la tua fede». Di fronte alla domanda «Perché Dio permette queste cose?», il sacerdote ha detto: «Io vi dico parole non mie ma di un testimone che ha scosso il mondo intero, e che quando gli ho chiesto: Mario, ma tu di fronte alla tua vita?’», mi ha risposto: Di fronte alla mia vita io ho più grazie da dire che recriminazioni da fare’».«Ho capito in questi giorni – ancora parole di don Manenti – che Dio è la creatura più disarmata dell’universo perché solo in questo modo» dice «che la vita è santa, è bella, ed è per questo motivo che Mario in questi giorni è stato la sua immagine più bella. Creature disarmate che vuol dire creature in pace, capaci di pace, di pacificare. In questi giorni ci siamo pacificati in tanti», sono stati «l’inizio di un cammino di pace dove prima c’era l’indifferenza. E abbiamo dovuto esser disarmati per fare questa cosa, poveri, fragili come lui: questo è Dio». Di qui il pensiero all’albero dell’ulivo, «robusto e solido come Mario»; «l’albero di Gesù», l’albero «dei getsemani, dei tanti getsemani di Mario, delle sue resurrezioni e di quella resurrezione che è avvenuta qui in questi giorni. Bisogna essere disarmati per cogliere la Pasqua di questi giorni». «Bisogna avere il coraggio di sapere – assicura il sacerdote – che anche se non facciamo niente siamo salvi come Gesù sulla croce: semplicemente farsi amare da quel Signore anche lui provato, che però è stato presente, ci ha attraversato con il suo spirito, e quello spirito lo potere leggere qui in questo silenzio»: è «quello che ci separa dalla disperazione, dal niente, dal vuoto». «Io ti ringrazio – ha concluso don Manenti – perché in questi giorni mi hai insegnato a essere papà e ho capito di più che cosa vuol dire che Dio è nostro papa». (Sir)