È indubbio che papa Francesco sia un Papa mediatico. Non è certo una novità. Prima di lui altri Papi si sono contraddistinti per le loro capacità comunicative. Pensiamo soprattutto a san Giovanni XXIII e a san Giovanni Paolo II. Ambedue erano in grado di parlare alla gente e sapevano essere efficaci in televisione. Avevano, certamente, stili diversi: più paterno e bonario quello di papa Giovanni, caratterizzato anche da toni accesi e indignati quello di Giovanni Paolo II. Ma entrambi riuscivano a «bucare» lo schermo. Perciò potevano evitare il rischio di ogni comunicazione televisiva: quello di appiattire il loro messaggio – l’annuncio evangelico – sugli altri messaggi che, sempre in televisione, vengono costantemente veicolati. Prima dell’Angelus, in tv, ci può essere infatti uno spot, e dopo, magari, uno spettacolo d’intrattenimento.Anche papa Francesco è anzitutto un Papa televisivo. Lo è tuttavia in un modo particolare. Egli usa, anche quando è in tv, i modi della conversazione fra amici. Il suo stile è diretto, semplice. Dice le cose chiaramente, in modo immediato, a volte duro. Mescola dottrina ed esperienza personale. La sua comunicazione è credibile e convincente perché si fa testimonianza.Tale approccio funziona appunto sia nei rapporti interpersonali che nell’uso dei mezzi di comunicazione di massa. Funziona però se il destinatario di questa comunicazione si rende conto che il Papa – anche se si pone sul nostro stesso piano, anche se si fa davvero vicino a noi e si mostra disposto ad accompagnarci nella vita – è pur sempre il papa. È il capo della Chiesa. In questo senso la sua presenza può essere importante. Egli ci chiede, magari, di pregare per lui. Si presenta come amico, e lo è davvero per quello che dice e per come lo dice. Ma, per il suo ruolo e la sua funzione, non è come noi. Rispetto al credente c’è sempre un gradino, una distanza, che va riconosciuta e da cui dipende l’efficacia del suo magistero.Questa è la situazione che coinvolge i fedeli, come dicevo. I problemi nascono però quando il discorso del Papa si rivolge a coloro non sono dentro la Chiesa. È nei confronti di queste persone, d’altronde, che si determina il compito di una Chiesa in uscita. E la comunicazione è forse il veicolo migliore per rispondere a questa esigenza. Ma proprio qui, come dicevo, emergono questioni comunicative importanti.Esse sono dovute soprattutto al fatto che, quando i mezzi di comunicazione sono monopolizzati da non credenti e il Papa è considerato un personaggio come altri, anche la sua figura e il suo ruolo rischiano di essere fraintesi. Può essere trattato come una brava persona, e basta. Può essere fatto oggetto di un’indagine giornalistica, caratterizzata anche da sollecitazioni più o meno indebite nei confronti dell’intervistato, da interpretazioni più o meno manipolate di quanto dichiarato, da una ricerca dello scoop a tutti i costi. Può essere considerato un’autorità religiosa che merita certamente rispetto, ma di cui si parla senza entrare in sintonia con quanto dice. Alla fine c’è il rischio – che talvolta anche la comunicazione di Francesco ha corso – non solo di far dire al Papa ciò che non vuol dire, ma soprattutto di omologare il suo dire a quello della massa, provocando una diminuzione, o addirittura una perdita, di quella credibilità derivante dalla sua persona e dal suo ruolo.La comunicazione di un Papa, come si vede è molto complicata. Le complicazioni, oggi, non vengono però solo dalla necessità di usare certi mezzi cercando di governarne gli effetti negativi. Oggi le forme che bisogna essere capaci di usare con competenza sono molteplici. Si tratta anzitutto delle forme tradizionali della comunicazione parlata e scritta. Si tratta dei mezzi della comunicazione di massa, come dicevo, sia giornalistica che audiovisiva. Si tratta, oltre a ciò, dei dispositivi che consentono una comunicazione digitale. Non solo noi, ma anche un Papa deve utilizzare adeguatamente tutte queste modalità comunicative.Oggi l’urgenza per la Chiesa è di essere presente anche negli ambienti digitali. Se si tratta di una Chiesa in uscita, infatti, essa è chiamata a disseminarsi anche attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e a occupare spazi negli ambienti virtuali. Certo: già lo fanno in molti, fra preti e comunità, da tempo e in maniera egregia. I testi, le riflessioni, le buone pratiche in merito sono ormai tante. E forte, attraverso queste esperienze, è altresì la consapevolezza dei rischi e delle opportunità che sono propri delle tecnologie. Ma manca, forse, un’indicazione organica, un vero e proprio aggiornamento sui modi in cui può essere svolta, anche sul versante tecnologico, la missione evangelizzatrice. Dopo il Direttorio sulle comunicazioni sociali su Comunicazione e missione (2004), ad esempio, la Chiesa italiana non è più tornata sistematicamente sull’argomento.Bisogna dunque che papa Francesco presti il suo aiuto anche su questo versante. La sua testimonianza, come abbiamo visto, è infatti valida ed efficace anche negli ambienti digitali. Lo è tanto più oggi, in un momento in cui stanno nascendo o riproponendosi progetti, più o meno destinati al successo, di realtà virtuale e di ambienti online che vengono a sovrapporsi a quelli offline. Essi rischiano infatti di far perdere spessore alla nostra vita, rendendo tutto indifferente. E invece anche gli ambienti digitali sono luoghi di evangelizzazione. Si tratta di un’ulteriore sfida che si aggiunge alle altre: a quelle che sono proprie della comunicazione della Chiesa all’interno di un mondo, reale o virtuale, sempre più bisognoso di orientamento.