Vita Chiesa

Francesco, Messa a Lampedusa: No alla globalizzazione dell’indifferenza

Letture e preghiere che chiedono pietà da un leggio che ricorda i 19 mila morti alle frontiere d’Europa, perché fatto con uno dei tanti barconi affondati al largo di Lampedusa. Il Vangelo di Matteo sulla fuga in Egitto di Giuseppe, Maria e Gesù bambino e la strage degli innocenti per mano di Erode, tutti riferimenti al dramma dei migranti che fuggono da miseria, povertà e disperazione per cercare in Europa speranze di vita.

Da quel leggio Papa Francesco nell’omelia (testo integrale) ha chiesto più volte, tra gli applausi commossi della folla: «Ciò che accaduto non si ripeta, per favore», riferendosi all’ultimo naufragio di cui ha letto notizie sui giornali. E poi, rivolgendosi agli immigrati musulmani ha detto a braccio: «O‘ Scià», un intercalare tipico dei lampedusani che significa «sei il mio respiro» . E più avanti, sempre a braccio. «Ho sentito recentemente uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati tra le mani dei trafficanti che sfruttano la povertà degli altri per farne fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto, ed alcuni non sono riusciti ad arrivare!» Dopo l’omelia, un lungo momento di silenzio commosso. Le preghiere dei fedeli si sono rivolti anche ai governanti e alle autorità civili perché garantiscano «il bene di ogni persona».

A fine liturgia il Papa ha rivolto un saluto e un ringraziamento particolare ai lampedusani e al parroco di Lampedusa don Stefano Nastasi, che lo ha invitato sull’isola con una lettera il 19 marzo scorso. «Voglio ringraziare i lampedusani – ha detto Papa Francesco parlando a braccio – per l’esempio di amore, carità e accoglienza che ci date. Il vescovo ha detto che Lampedusa è un faro: che questo esempio sia un faro per tutto il mondo perché abbiano il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore». E poi: «Ringrazio anche la tenerezza sentita nella persona di don Stefano, che sulla nave mi ha raccontato ciò che fanno. Grazie a voi».

Fuori programma il Papa ha salutato i lampedusani sul sagrato della parrocchia di San Gerlando. «Grazie tante – ha detto – per accoglienza e per testimonianza, per il vostro calore del cuore. Che il Signore vi faccia andare avanti in questo atteggiamento tanto umano e tanto cristiano».

Il tweet. «Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati. Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi». È il testo del tweet lanciato dal Papa in visita a Lampedusa.

Ecco di seguito una sintesi dell’omelia (testo integrale).

Una spina nel cuore. Gli immigrati morti in mare sono «come una spina nel cuore», che deve provocare «la coscienza di tutti» per «cambiare concretamente certi atteggiamenti». Lo ha detto il Papa, che a Lampedusa ha cominciato l’omelia dalla risonanza che ha avuto nel suo animo una notizia di cronaca: «Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte». «Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta – ha rivelato Papa Francesco – il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta». Fin dall’inizio il Papa ha detto « una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento» agli abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che hanno «mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore»: « Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà!», ha aggiunto ringraziando l’arcivescovo di Agrigento per le sue parole. Un «pensiero», inoltre, «ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan»: «La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie».

Insensibili alle grida degli altri. «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza». È il punto centrale dell’omelia di Papa Francesco nel suo primo viaggio in Italia, caratterizzato da toni di forte denuncia. «Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!», ha ammonito il Papa, secondo il quale oggi «ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni», perché «la globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto». «Chiediamo perdono – ha detto – per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi».

Adamo e Caino. «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato, ha ricordato il Papa nell’omelia. L’uomo della Genesi «è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere». Così, Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». «Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!», ha ammonito il Papa, secondo il quale «queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza». «Tanti di noi, mi includo anch’io – le parole di Papa Francesco – siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito».

Abbiamo perso il senso della responsabilità. Anche oggi, Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Ma «oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna». Lo ha detto il Papa, che a Lampedusa ha denunciato: «Chi è il responsabile del sangue di questi nostri fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, non c’entro, saranno altri, non certo io». Secondo il Papa, «siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto». Ma la domanda «dov’è tuo fratello?», in altre parole, «non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi», ha esclamato Papa Francesco: «Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!».

Abbiamo dimenticato l’esperienza del piangere.  «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?, per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?». Sono le domande incalzanti che Papa Francesco ha posto a Lampedusa, affiancandole alle altre due che ha formulato durante l’omelia: «Adamo dove sei?» e «Dov’è tuo fratello?». «Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’», ha ammonito Papa Francesco soffermandosi su quella che ha definito la «globalizzazione dell’indifferenza». «Nel Vangelo – ha fatto notare il Papa – abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: ‘Rachele piange i suoi figli… perché non sono più’. Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi…». «Domandiamo al Signore – l’invito del Papa – che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo».