Vita Chiesa
Francesco, enciclica «Lumen fidei»: la fede non è un salto nel vuoto
A questa «prima stesura», Papa Francesco aggiunge oggi «ulteriori contributi». «È urgente recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore», l’intento di fondo della prima enciclica del Papa, in cui fin dall’inizio si prende sul serio «l’obiezione di tanti nostri contemporanei». La tesi citata dal Papa è quella di Nietzsche, che muove una critica radicale al cristianesimo partendo dall’affermazione che «il credere si opporrebbe al cercare». Il processo iniziato con l’epoca moderna ha fatto sì che «la fede ha finito per essere associata al buio»: «Lo spazio per la fede si apriva là dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto o come una luce soggettiva».
Poco a poco, però, «si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro», che «alla fine resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto». E così, «l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada». Ma «quando manca la luce – ammonisce il Papa – tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla méta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione». «La Chiesa – ricorda il Papa – non presuppone mai la fede come un fatto scontato». Proprio nell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, a 50 anni dal Concilio, Papa Francesco definisce la fede come «luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino del tempo»: una luce che «procede dal passato» e «viene dal futuro». «La fede non abita nel buio, è una luce per le nostre tenebre», scrive il Papa, che cita la definizione di Dante nella Divina Commedia: «favilla/che si dilata in fiamma poi vivace/e come stella in cielo in me scintilla». «Proprio di questa luce della fede vorrei parlare – aggiunge il Papa – perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce».
«La fede è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale». È quanto scrive Papa Francesco nel primo capitolo della «Lumen fidei». «Credere – spiega il Papa – significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia». La fede, prosegue il Papa, «consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo nella chiamata di Dio». In questo sta il «paradosso» della fede: «Nel continuo volgersi verso il Signore, l’uomo trova una strada stabile che lo libera dal movimento dispersivo cui lo sottomettono gli idoli». L’opposto della fede è dunque l’idolatria, incalza il Papa, che cita Martin Buber per spiegare come «l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani». Così l’uomo, «perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; negandosi ad attendere il tempo della promessa, si disintegra nei mille istanti della sua storia». Per questo «l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro»: «L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri, che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto».
«La fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio». Con queste parole il Papa spiega il senso del legame tra la fede e l’evangelizzazione. «La nostra cultura – la sua denuncia – ha perso la percezione della presenza concreta di Dio, della sua azione del mondo. Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti». «Ma se fosse così – l’obiezione del Papa – se Dio fosse incapace di agire nel mondo, il suo amore non sarebbe veramente potente, veramente reale, e non sarebbe quindi neanche vero amore, capace di compiere quella felicità che promette. Credere o non credere in Lui sarebbe allora del tutto indifferente». I cristiani, invece, «confessano l’amore concreto e potente di Dio, che opera veramente nella storia e ne determina il destino finale, amore che si è fatto incontrabile, che si è rivelato in pienezza nella Passione, Morte e Risurrezione di Cristo». «Il cristiano può avere gli occhi di Gesù, i suoi sentimenti, la sua disposizione filiale, perché viene reso partecipe del suo Amore, che è lo Spirito», ricorda il Papa: in questo modo, «l’esistenza credente diventa esistenza ecclesiale», perché la fede si confessa all’interno del corpo della Chiesa, come «comunione concreta dei credenti».