Opinioni & Commenti
Francesco di Sales, la lezione di giornalismo di un «vecchio» santo
La crisi lo afferra a vent’anni. Francesco di Sales, narrano i biografi, per sei settimane non mangia né dorme. Piange. Potrebbe riemergerne cinico e disilluso, dedito alla carriera. Oppure ponendo ogni sua certezza, scossa dalla crisi, nell’apparato clericale, facendosi paladino ferreo della Controriforma, un martello degli eretici, implacabile con gli altri e ancor prima con se stesso. Invece Francesco di Sales trova la pace scoprendo il volto mite e misericordioso di Dio. Nobile sabaudo, studi giuridici alle università di Parigi e di Padova, il futuro santo e patrono di giornalisti, autori, scrittori e sordomuti, dottore della Chiesa, vive a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Vescovo di Ginevra dal 1602 al 1622, a stretto contatto con i calvinisti, si guarda bene dall’indire crociate.
Cattolico fino in fondo, non ingaggia duelli veementi. Espone le sue ragioni con tono fermo, sì, ma mite. E lo fa ricorrendo anche a strumenti inediti. Già, perché bisogna rispondere alla domanda che chiunque a questo punto si è posto: che cosa c’entra un vescovo, sia pure santo e illuminato, ma di quattro secoli fa con il giornalismo? E che cosa c’entra il giornalismo con la Controriforma, dipinta ingenerosamente come epoca buia e retriva, di reazione e chiusura?
San Francesco di Sales (di cui il 24 gennaio si celebra la festa), pensate un po’, inventa con quattro secoli di anticipo la free press. Oggi chiameremmo così il suoi «fogli volanti», manifesti che faceva distribuire porta a porta e affiggeva ai muri a Ginevra, per parlare con la gente, tutta quanta, che non aspettava in chiesa, ma usciva e andava a cercarla. Sempre in modo dolce. Anche nella polemica, che in una roccaforte calvinista non poteva mancare, egli usava (sono parole sue) «meno aceto e più miele». Quando due schieramenti si fronteggiano, ciascuno forte delle proprie verità, il rischio è uno scontro che mieta vittime, con toni tanto aspri da oscurare le stesse verità. Francesco di Sales (oggi patrono dei giornalisti) non è tipo da cadere in simili tranelli. «È necessario sopportare gli altri – scrive – ma in primo luogo è necessario sopportare se stessi e rassegnarsi a essere imperfetti». Prima di andare in cerca dell’errore altrui, si dedica alle imperfezioni proprie; e ciò lo rende più accogliente. Di lui san Giovanni XXIII disse che esprimeva «una pietà sorridente e forte».
Oggi probabilmente qualche inflessibile cattolico gli darebbe del «buonista». E lui replicherebbe con un sorriso e un’altra sua frase celebre: «Se sbaglio, voglio farlo per troppa bontà piuttosto che per troppo rigore». Molto in avanti coi tempi, con la sua Filotea e il Trattato dell’amore di Dio apriva ai fedeli laici, negando che soltanto la vita consacrata potesse considerarsi la via alla perfezione e alla santità. La lezione per i giornalisti (cattolici e non solo) del XXI secolo è trasparente. Non è necessario aggredire, condannare, digrignare i polpastrelli sulla tastiera per dire con dolce fermezza ciò in cui crediamo. Chiedendo scusa se sbagliamo. Meno aceto e più miele: magari di tarassaco, quello che fa bene al fegato.