Vita Chiesa
Francesco alle scuole dei Gesuiti: «Cercare nuove forme di educazione»
«Io ho preparato un testo – ha detto il Papa – ma sono cinque pagine! Un po’ noioso… Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo, per iscritto, al padre provinciale e lo darò al padre Lombardi, perché tutti voi lo abbiate per iscritto. E poi, c’è la possibilità che alcuni di voi facciano una domanda, e possiamo fare un piccolo dialogo». Primo punto del testo, ha detto, è che «nell’educazione che diamo ai Gesuiti il punto chiave è, per il nostro sviluppo di persona, la magnanimità. Noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande…». Nell’educare, ha aggiunto, occorre «bilanciare bene i passi. Un passo fermo sulla cornice della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio». Poi ha proseguito: «Siamo arrivati all’ultima pagina… E a voi, educatori, anche voglio incoraggiarvi a cercare nuove forme di educazione non convenzionali, secondo la necessità di luoghi, tempi e persone. Questo è importante, nella nostra spiritualità ignaziana». Quindi è iniziato il dialogo con i ragazzi che hanno posto alcune domande.
«Con tutti voi mi sento veramente ‘in famiglia’. Ed è motivo di particolare gioia la coincidenza di questo nostro incontro con la solennità del Sacro Cuore di Gesù», ha detto Papa Francesco, che ha proseguito: «La scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita». Ricordando ciò che insegna sant’Ignazio, il Pontefice ha sottolineato che «nella scuola l’elemento principale è imparare ad essere magnanimi». Ed essere magnanimi «vuol dire avere il cuore grande, avere grandezza d’animo, vuol dire avere grandi ideali, il desiderio di compiere grandi cose per rispondere a ciò che Dio ci chiede, e proprio per questo compiere bene le cose di ogni giorno, tutte le azioni quotidiane, gli impegni, gli incontri con le persone; fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande aperto a Dio e agli altri». È importante allora «curare la formazione umana finalizzata alla magnanimità». La scuola «non allarga solo la vostra dimensione intellettuale, ma anche umana». In particolare «le scuole dei Gesuiti sono attente a sviluppare le virtù umane: la lealtà, il rispetto, la fedeltà, l’impegno».
Il Santo Padre ha quindi invitato ad essere «persone libere». Libertà, ha chiarito, «vuol dire saper riflettere su quello che facciamo, saper valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che fanno crescere, vuol dire scegliere sempre il bene. Noi siamo liberi per il bene. E in questo non abbiate paura di andare controcorrente, anche se non è facile! Essere liberi per scegliere sempre il bene è impegnativo, ma vi renderà persone che hanno la spina dorsale, che sanno affrontare la vita, persone con coraggio e pazienza». La seconda parola è «servizio». «Nelle vostre scuole – ha evidenziato – voi partecipate a varie attività che vi abituano a non chiudervi in voi stessi o nel vostro piccolo mondo, ma ad aprirvi agli altri, specialmente ai più poveri e bisognosi, a lavorare per migliorare il mondo in cui viviamo. Siate uomini e donne con gli altri e per gli altri, dei veri campioni nel servizio agli altri». Un invito da Francesco anche a curare la formazione spirituale. «Sentite la presenza del Signore – ha affermato – nella vostra vita. Egli è vicino a ognuno di voi come compagno, come amico, che vi sa aiutare e comprendere, che vi incoraggia nei momenti difficili e mai vi abbandona». E, ha aggiunto, «imparate anche a leggere i segni di Dio nella vostra vita».
Rivolgendosi agli educatori, il Papa ha esortato a non scoraggiarsi: «Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco». Ma non basta: «Un educatore – Gesuita, insegnante, operatore, genitore – trasmette conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita». Ha poi sottolineato la necessità della collaborazione «tra le diverse componenti educative». Ai Gesuiti il Pontefice ha detto che «le scuole sono uno strumento prezioso per dare un apporto al cammino della Chiesa e dell’intera società» e ha incoraggiato anche «a cercare nuove forme di educazione non convenzionali secondo ‘le necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone’».
Infine, un saluto agli ex-alunni presenti, ai rappresentanti delle scuole italiane della Rete di Fe y Alegria e alla delegazione del Collegio albanese di Scutari, che dal 1994 ha ripreso la sua attività, accogliendo ed educando ragazzi cattolici, ortodossi, musulmani e anche alcuni alunni nati in contesti familiari agnostici. Così «la scuola diventa un luogo di dialogo e di sereno confronto, per promuovere atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione».
«Camminare è un’arte». E «tante volte, il cammino è difficile», ha detto Papa Francesco, rispondendo alle domande dei giovani. Nell’arte di camminare, «quello che importa non è di non cadere, ma di non rimanere caduti. Alzarsi presto, subito, e continuare ad andare. E questo è bello: questo è lavorare tutti i giorni, questo è camminare umanamente». Importante è anche «camminare in comunità con gli amici, con quelli che ci vogliono bene». «Non si può vivere senza amici: questo è importante», ha affermato rispondendo a un’altra domanda. A un ragazzo che gli ha chiesto se voleva diventare Papa, ha risposto: «Una persona che vuole fare il Papa non vuole bene a se stessa. No, io non ho voluto fare il Papa». E alla domanda perché è diventato Gesuita, ha chiarito: «Quello che mi ha dato tanta forza per diventare Gesuita è la missionarietà: andare fuori, andare alle missioni ad annunziare Gesù Cristo». Un’altra ragazza gli ha chiesto perché abbia rinunciato ad andare a risiedere nel Palazzo apostolico scegliendo Santa Marta e ad una auto grande». «Non è soltanto una cosa di ricchezza – ha risposto il Papa -. Per me è un problema di personalità. Io ho necessità di vivere fra la gente, e se io vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene».
«La povertà del mondo è uno scandalo – ha aggiunto -. In un mondo dove ci sono tante, tante ricchezze, tante risorse per dare da mangiare a tutti, non si può capire come ci siano tanti bambini affamati, ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri. La povertà, oggi, è un grido. Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri: anche questo, tutti lo dobbiamo fare». Rispetto alla questione dell’auto, dunque, è anche il fatto di «non avere tante cose e diventare un po’ più povero». A proposito della crisi, Francesco ha osservato che «quello che è in crisi è il valore della persona umana, e noi dobbiamo difendere la persona umana». Per il Papa, «oggi non conta la persona: contano i soldi, conta il denaro. E Gesù, Dio ha dato il mondo, tutto il creato, l’ha dato alla persona, all’uomo e alla donna, perché lo portassero avanti. Non al denaro». La persona oggi «è schiava! E noi dobbiamo liberarci di queste strutture economiche e sociali che ci schiavizzano». A un professore che ha fatto una domanda sul ruolo dei cristiani in politica il Pontefice ha risposto: «Coinvolgersi nella politica è un obbligo, per un cristiano. Noi cristiani non possiamo giocare da Pilato, lavarci le mani: non possiamo. Dobbiamo immischiarci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune».
I laici cristiani, perciò, «devono lavorare in politica». Infatti, «lavorare per il bene comune è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica». Rispondendo a una domanda sulla povertà, il Santo Padre innanzitutto ha esortato: «Non lasciatevi rubare la speranza». E ha precisato: «Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la superbia, l’orgoglio … tutte queste cose ti rubano la speranza». E «dove trovo la speranza?». «In Gesù povero – ha risposto il Papa -: Gesù che si è fatto povero per noi. E tu hai parlato di povertà. La povertà ci chiama a seminare speranza». E questo, ha proseguito, «sembra un po’ difficile da capire». Così «non si può parlare di povertà, di povertà astratta: quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andare, guardare laggiù la carne di Gesù. Ma non lasciatevi rubare la speranza dal benessere, dallo spirito del benessere che alla fine ti porta a diventare un niente nella vita!». Il giovane, ha concluso, «deve scommettere su alti ideali: questo è il consiglio. Ma la speranza, dove la trovo? Nella carne di Gesù sofferente e nella vera povertà. C’è un collegamento tra i due».