Vita Chiesa

Francesco a Sant’Egidio: Riccardi, «Chi è familiare dei poveri vuole un mondo diverso»

«Noi – ha aggiunto – non abbiamo rinunciato al sogno di cambiare il mondo, né quel sogno si è pietrificato nell’ideologia o è svanito nei protagonismi perché chi è familiare dei poveri vuole un mondo diverso. I poveri sono gli amici che ci hanno insegnato a vivere. Noi siamo la famiglia che vede, in cui si confonde chi serve e chi è servito: popolo di umili e di poveri, per dirla con il profeta Sofonia». A Trastevere «è il nostro centro: luogo di preghiera ogni sera e accoglienza, casa di ospitalità per stranieri, senza fissa dimora, mensa per chi ha fame, non lontano dall’altare dell’Eucarestia, asilo ma anche casa di incontro per la pace». Ma «il centro che è Gesù vive in ogni periferia dove si legge il Vangelo e si prova a viverlo. Così le periferie diventano centro».

Facendo riferimento alle guerre in varie parti del mondo, Riccardi ha proseguito: «Abbiamo capito che noi cristiani abbiamo una forza mite di fare la pace, qualche volta sotterrata per paura». E qui ha fatto cenno alla pace in Mozambico, negoziata dopo la morte di un milione di persone. «Il miracolo della pace è possibile – ha osservato il fondatore della Comunità di Sant’Egidio – ma non sempre noi discepoli sappiamo compierlo per poca fede nella preghiera e poca umiltà nel dialogo». Riccardi ha dedicato quindi una riflessione all’Europa, che è «invecchiata, stanca, introversa, preoccupata di sé, tutta economia e quindi avara. È la stanchezza anche della nostra Roma, invecchiata, un po’ malata, tante volte con poca speranza. Roma è una città dove non si sta senza un’idea universale, ma universale vuol dire vivere con gli altri, per gli altri. L’introversione soffoca». Allora, ha aggiunto, «mi sembra che la proposta evangelica suona liberatrice: vivere non per noi stessi, ma per Lui che è morto e risorto per noi e per gli altri». Ricordando il «tanto dolore nel mondo, ingiustizie e vite calpestate», ha osservato che la predicazione del Papa «sta liberando energie di bene, perché c’è bisogno di uscire con più generosità, creatività e amore». «È bello essere cristiani e siamo contenti di esserlo», ha concluso.

«Vengo dalla Siria Santità». Ha esordito così l’arcivescovo siro ortodosso di Damasco, Jean Kawak, aprendo le testimonianze davanti al papa nell’incontro con la Comunità di Sant’Egidio a Trastevere. Ha raccontato la storia di un popolo «prigioniero del male», spaventato e assediato e ha chiesto di «fare di più per la pace», dopo aver ricordato la preghiera del Papa per la Siria lo scorso 7 settembre. A offrire la loro testimonianza davanti al Pontefice le varie tipologie di persone che gravitano intorno alla Comunità di Sant’Egidio: Irma di 90 anni ha parlato con delicatezza del ruolo degli anziani, poi è stato il turno di una ragazzina, Francesca, che ha parlato dell’esperienza dei Giovani per la pace; di un disoccupato, Daniel, che non cede alle lusinghe di lavori con facili guadagni, ma poco puliti; di una disabile Adriana, che dopo la morte della madre, è stata aiutata a vincere la solitudine grazie alla Comunità di Sant’Egidio. Branco, un giovane rom proveniente dalla ex Jugoslavia, ha raccontato le sofferenze per le discriminazioni subite e come poi è riuscito a integrarsi nella società. Un profugo afghano musulmano, Dawood Yousefi, ha narrato le sue peripezie per arrivare in Europa: ha anche perso un amico nel tragitto in barcone fino alla Grecia. Infine, Jaime Aguilar della Comunità di Sant’Egidio di El Salvador si è rivolto al Papa in spagnolo.