Pisa

FRA’ BEPPE PRIOLI, 40 ANNI TRA GLI ERGASTOLANI. Il popolare francescano, simbolo del volontariato cattolico nelle carceri, in visita a Pisa e Lucca.

Aveva vent’anni Pietro Maso quando, con i suoi amici, massacrò i genitori nella villetta di Montecchia di Corsara, in Veneto. Una «mattanza» che durò 53 minuti.Ne aveva 31 Alfredo Bonazzi che, nel 1960 uccise, durante una rapina a Milano, un tabaccaio. Giovane doveva essere anche Pietro Cavallero negli anni Sessanta, quando, capo di una banda, terrorizzò Milano.Tre persone entrate tristemente nell’immaginario collettivo perché protagoniste di efferati delitti. Eppure anche i più «dannati» possono trovare la via del riscatto. Ne è testimone fra’ Beppe Prioli, frate francescano scaligero, 64 anni, da quaranta volontario nelle carceri di tutta Italia.Fra’ Beppe è stato nei giorni scorsi a Pisa e Lucca, invitato dalle associazioni di volontariato che operano nelle due carceri. «Tutti sono recuperabili – dice a “Toscana Oggi- Vita Nova” fra’ Beppe. Certo, chi compie efferati omicidi, ha bisogno di molto tempo per convincersi a “rivisitare” la sua vita e comprendere le ragioni di quei gesti folli. E riuscirà a riscattarsi solo se in carcere troverà operatori pazienti e motivati».In quarant’anni fra’ Beppe ha incontrato e ascoltato migliaia di detenuti in un centinaio di istituti penitenziari. Il suo pensiero va soprattutto ai giovani: «In molti di loro trovo un vuoto di valori. Non hanno fede, né danno il giusto valore alla vita, al lavoro, al denaro».Perché? «Nessuno, probabilmente, gleli ha proposti, non almeno con la giusta convinzione e continuità. Oggi molte famiglie faticano a imporsi come modello di riferimento per i loro figli, le comunità cristiane perdono i ragazzi a quattordici anni, proprio nell’età più critica, e li ritrovano, se sono fortunate, a venticinque. Le altre agenzie educative non fanno molto meglio. Ed invece non bisogna mollare la presa. I giovani non bazzicano più gli oratori? Incontriamoli nei luoghi in cui vivono, cerchiamo di seguire i loro ritmi di vita. In Veneto abbiamo aperto le chiese durante la notte… Investire tempo ed energie nell’educazione oggi, significa evitare disagio, violenza, e i costi sociali del carcere e del recupero alla normalità domani».Argomenti ripresi da fra’ Beppe Prioli nell’incontro con tre classi di studenti del liceo Dini di Pisa, cui si è presentato insieme al giudice Alberto Bargagna ed ai volontari di Controluce per riflettere sul tema del senso della pena. A Lucca fra’ Beppe ha fatto visita alla Casa di San Francesco, gestita dalla diocesi, che da anni accoglie detenuti ed ex detenuti. Gli ospiti della casa, in maggior parte stranieri, hanno offerto un gustoso pasto a base di cous cous cucinato da Kalid, in un’atmosfera di grande amicizia. A Lucca e Pisa il francescano si è incontrato con detenuti, volontari, agenti penitenziari e direttori degli istituti penitenziari. Alla sera ha partecipato ad un dibattito sul tema «Di fronte al male, quale risposta?». I giudici ascoltano l’indagato prima di emettere verdetti? Tutti gli indagati sono tutelati allo stesso modo? Cosa possono fare volontari ed operatori, Chiesa e società civile, per accompagnare il detenuto nel percorso di redenzione e per reintrodurlo nella comunità? Ne hanno parlato, con fra’ Beppe, il giudice Alberto Bargagna, il cappellano del carcere don Roberto Filippini, l’avvocato Maria Mondano, l’assessore Carlo Macaluso e Alba e Salvatore Gualandi, genitori di un giovane che, dopo una breve e positiva esperienza in carcere, si impegna seriamente in un programma terapeutico al Ceis di Lucca.«Ciascuno di noi ha diritto ad una seconda chance» ha ricordato fra’ Beppe Prioli, «fratello lupo» così come lo ha battezzato Fabio Finazzi in un libro che racconta l’incontro del francescano con gli ergastolani più duri, che tutti avrebbero etichettato come «irrecuperabili». Pietro Maso il suo «lungo, difficile cammino di redenzione» lo ha compiuto, Alfredo Bonazzi fu graziato dal presidente della Repubblica Leone per «meriti letterari», Pietro Cavallero si impegnò in una comunità di recupero dei tossicodipendenti. Alfredo Bonazzi, Pietro Cavallero, Aldo Garollo, Peppino Pes, Giuseppe Rossi: quelli che gli altri chiamavano «mostri» fra’ Beppe li ha disarmati, con la stessa ingenuità e follia di san Francesco, che è andato incontro al lupo, belva feroce e temuta da tutti, riconciliandolo con la città di Gubbio. «Ora lo posso dire: ho imparato molto da loro» ha confessato fra’ Beppe di fronte a decine di giovani venuti ad ascoltarlo alla «Limonaia».