(dall’inviata SIR a Dakar) Il 12 febbraio ci sarà una manifestazione popolare ad Algeri e molti pensano che una rivolta popolare anche in Algeria potrebbe partire da lì. Bisogna essere vigilanti. Lo dice al SIR Jean François Debargue, segretario generale di Caritas Algeria, durante il Forum sociale mondiale in corso in questi giorni a Dakar (fino all’11 febbraio). Secondo Debargue, nell’Algeria guidata dal presidente Abdelazid Bouteflika in questo momento possiamo immaginare scenari completamente opposti: ci sono pari possibilità che scoppi una rivolta o che non ci sia affatto. Se una rivolta ci sarà prosegue Debargue nascerà dalla ribellione dei giovani, che sono disperati e pronti a tutto. Ma la società civile è debole e non c’è una vera opposizione. A suo avviso ci sono però una serie di differenze con le situazioni in Tunisia ed Egitto, nonostante anche in Algeria alcuni giovani si siano immolati con il fuoco e ci siano già state alcune piccole manifestazioni: Molti algerini sono ancora traumatizzati dai massacri compiuti dai terroristi fino a dieci anni fa spiega -, quindi non sentono l’urgenza di manifestare. L’esercito algerino prosegue Debargue – non è neutrale come in Tunisia ed Egitto, perché ha tanti vantaggi economici, quindi con una rivoluzione avrebbe troppo da perdere. Inoltre gli algerini non hanno ancora una vera identità collettiva, preferiscono cercare soluzioni individuali alle difficoltà e alle ingiustizie, come la fuga all’estero o il terrorismo. Dopo i fatti tunisini ed egiziani il governo è comunque sull’allerta. Ha infatti adottato delle misure anticipatorie: ha tolto lo stato d’emergenza che durava da 19 anni e abbassato i prezzi di alcuni generi alimentari. Bouteflika ha 74 anni ed è al suo terzo mandato ricorda Debargue -. E’ della stessa generazione dei vecchi dittatori africani, sicuramente in qualche modo teme una rivolta. Ma non ci sono alternative politiche e non si sa chi potrebbe prendere il potere al suo posto. Il segretario di Caritas Algeria è anche attivamente impegnato in un progetto nella zona di Tindouf a favore del popolo Saharawi, tramite la creazione di piccoli orti familiari per 25.000 persone, con il sostegno di Caritas italiana.I saharawi rivendicano il diritto all’autodeterminazione e l’indipendenza politica riconosciuta anche dall’Onu nel 1965 – sui territori del Sahara occidentale, con l’opposizione del Marocco, e per questo sono oggetto da circa trent’anni di una feroce repressione da parte marocchina. Questo li ha costretti ad un esilio forzato in Algeria, dove vivono 160.000 persone in quattro campi. L’ultimo grave episodio è avvenuto nell’ottobre 2010, quando il villaggio di El Ayoum, dove i saharawi avevano piantato migliaia di tende, è stato completamente raso al suolo dall’esercito marocchino. Anche a Dakar il 7 febbraio è accaduto un fatto spiacevole: un incontro organizzato dai militanti saharawi è stato preso d’assalto da alcuni attivisti marocchini, che hanno inveito in maniera aggressiva contro i saharawi, rubato e distrutto una parte dei materiali ed effetti personali degli organizzatori. Il seminario è stato annullato e i saharawi sono stati costretti a smontare lo stand. In questi giorni distribuiscono volantini di denuncia, chiedendo agli organizzatori del Forum di assicurare ai popoli oppressi la sicurezza e la libertà d’espressione.Sir