Cultura & Società

Forum Greenaccord: Coltivare e custodire il creato»

L’evento, sul tema «Il Creato e le vie di comunicazione vecchie e nuove – Cammini, incroci e reti a partire dalle Dolomiti», ha il supporto della Provincia autonoma e dell’arcidiocesi di Trento. «Come applicare questi principi?», ha riflettuto l’arcivescovo: «Noi non abbiamo delle formule fatte, siete voi uomini di scienza e giornalisti qui presenti che ci aiutate: pensiamo alla cultura dell’individualismo, alla cultura dell’accumulo, al concetto stesso di felicità fatto non solo di avere». «La sfida più interessante di questo Forum è quella di scoprire come le vie di comunicazione si intersecano con la cura della Casa comune», ha osservato Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord, che ha ricordato come «le antiche vie di comunicazione erano fonte di sicurezza, di protezione, di sopravvivenza, di spiritualità, di incontri, di scambi» e il loro abbandono ha inciso «sul dissesto del territorio».

Ha messo in rilievo la «rivoluzione profonda sulle vie della fede e della spiritualità», determinata dalla religioni abramitiche, Franco Cardini, docente di storia medievale presso l’Istituto italiano di scienze umane, intervenuto al X Forum di Greenaccord in corso a Trento. Il docente ha spiegato che in tali religioni (ebraica, cristiana e musulmana) si passa «dal messaggio trascendente e non più immanente, storico e non più mitico del Dio di Abramo, che irrompe nella storia e stabilisce un patto con l’uomo. Nella religione cristiana, addirittura, Dio ha anche una natura umana». Caratteristica di tutte le religioni è che «si cammina, ci si muove in pellegrinaggio» ma gli appartenenti a quelle abramitiche «non cercano più, come nelle religioni del passato, l’emanazione della potenza divina, ma la testimonianza del patto tra Dio e l’uomo».

Mario Tozzi, divulgatore scientifico e ricercatore presso l’Istituto di geologia ambientale e geo-ingegneria, ha invece ricordato che i problemi ambientali sono nati «quando i tempi della terra e quelli dell’uomo hanno cominciato a collidere». L’esperto ha sottolineato che in Italia «ogni 45 minuti c’è una frana e i morti per la medesima causa sono 7 al mese. Il dissesto è largamente prevedibile e previsto, allora perché non facciamo qualcosa di serio per convivere con questi eventi?». Per Tozzi, «le conoscenze le abbiamo, potrebbe dunque essere opportuno un cambiamento culturale».

«Le Alpi sono state luogo di incontro di popoli più che di divisione, fin dall’epoca antica, nonostante la barriera della catena sembri insormontabile», ha sottolineato Ester Cason Angelini, consigliere delegato della Fondazione G. Angelini – Centro Studi sulla Montagna (www.angelini-fondazione.it) e dalla Rete Montagna di Belluno, intervenendo questa mattina al Forum. L’esperta ha ricordato le parole di Paul Guichonnet, secondo il quale «l’elemento che ha segnato profondamente la catena alpina è stato il popolamento pluri-etnico e plurilinguistico di genti che sono salite sulle montagne in ondate successive, percorrendo le grandi vallate interne, così che l’arco alpino è divenuto l’area di incontro e di contatto dei grandi gruppi umani che si spartiscono lo spazio europeo». Sia le Alpi che le Dolomiti sono state frequentate fin dai tempi antichissimi ma «le attestazioni più sostanziose si riferiscono naturalmente al Medioevo e al primo Rinascimento, quando ondate di pellegrini e di mercanti percorrevano, con alcune varianti, gli stessi itinerari individuati nell’antichità, per arrivare a Roma, Venezia e Luoghi Santi, o negli empori e porti, per lo smistamento delle merci. Fondamentali erano i ponti e gli ospizi per il riposo; il sistema di comunicazione stradale era funzionale».

«Dagli anni 2000 è tramontata la visione idealistica del paesaggio che dominava in Italia, ma oggi la vera emergenza è l’abbandono della montagna e il suo inselvatichimento, che procede al ritmo del 30% negli ultimi dieci anni». Così Annibale Salsa, presidente del Comitato scientifico dell’Accademia della Montagna del Trentino, nella sua relazione sul rapporto tra montagna e architettura. Altro problema messo in evidenza è stato «l’avvento del turismo alpino che ha però gradualmente modificato la relazione diretta delle comunità con i propri territori. L’immaginario urbano ha colonizzato progressivamente la mentalità degli abitanti, introducendo forme del costruire ispirate a modelli di ‘tipicità’». Il presidente ha sottolineato come «il paesaggio è un processo dinamico di rappresentazione del territorio, che muta con il variare delle situazioni sociali, economiche e culturali. Restare prigionieri di modelli statici ed immutabili rischia di veicolare un’immagine della montagna del tutto inautentica». «Educare al limite rappresenta, perciò – ha aggiunto -, il vero imperativo pedagogico da proporre alle nuove generazioni, allo scopo di far loro rivivere lo stupore e la meraviglia della creazione. L’architettura di montagna potrà allora riprodurre, attraverso l’agire umano responsabile, una seconda creazione a misura d’uomo».