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Formazione, la sfida del domani

Se un tempo la formazione ha potuto avere come elemento caratterizzante il compito di informare o di addestrare (trasmettere conoscenze, fornire abitudini, indurre comportamenti), oggi essa appare in tutti i campi come la tutrice delle trasformazioni, l’accompagnatrice dei cambiamenti, perché avvengano in modo da mantenere, cambiando, la propria identità e la direzione della propria trama di vita. “Formare i formatori” vuol dire allora aiutare a vincere le resistenze al cambiamento aiutare a sostenere il disagio di un cambiamento, rileggere i cambiamenti mano a mano che avvengono e a recuperarne i significati.Chi sono i “formatori”I formatori sono quelle persone più adulte a cui si può chiedere una memoria significativa: vale a dire una memoria plasmata dal senso delle cose, orientata sulla qualità del vivere, caratterizzata dall’esperienza di ripetute scelte fra il bene e il male. Una memoria che dunque non ha imparato soltanto come è fatta la vita: ma che in tale esperienza si è resa conto, in termini insostituibilmente personali, di come la vita dovrebbe essere vissuta. Di che cosa è giusto cercarvi, di che cosa è difficile trovare. I “formatori dei formatori”I “formatori dei formatori” sono persone che si rendono disponibili all’imitazione. Senza mostrare concretamente una strada reale, nessun percorso può essere persuasivamente indicato come possibile. Chi si assume la responsabilità di educare deve offrire un modello imitabile. In questo senso è perfettamente plausibile che Paolo, Pietro, Apollo, e tutti coloro che educano alla fede si siano proposti all’imitazione, abbiano suscitato un certo attaccamento. Colui che muove i primi passi non può essere soltanto istruito sulla tecnica della deambulazione: ha bisogno di qualcuno che cammini davanti a lui, poi insieme con lui. È l’unico modo per far capire esattamente che cosa significa.La formazione nella Chiesa di oggiViviamo in un’ora contrassegnata da molti ostacoli, da diverse contraddizioni recate alla fede, sicché la fede sembra incapace di interessare gli uomini e le donne di oggi, che vivono nell’indifferenza riguardo alla fede cristiana e, più in generale, sono indifferenti a ogni ricerca di Dio. La trasmissione della fede è diventata difficile, e le nuove generazioni sembrano incapaci di ricevere quell’eredità di fede e di cultura che per secoli ha contrassegnato la nostra gente. Gli orientamenti “Educare alla vita buona del Vangelo”, possono essere un buon punto di partenza per dare impulso alla formazione, però bisogna cambiare molto, svecchiare tante impostazioni che nostalgicamente si conservano e che ormai non danno più nessun frutto, solo favoriscono lente agonie. Lo strada del ConcilioCredo occorra ridare alla Chiesa lo sfondo “creativo” del dopo Concilio. L’espressione “Popolo di Dio” che il Vaticano II ci ha offerto, parla di una Chiesa in cammino dentro la storia, in mezzo a differenti culture, e quindi non asettica e isolata, ma implicata con la vita delle donne e gli uomini, in una prospettiva di crescita e cambiamento. Questa dimensione storica della Chiesa è l’elemento veramente innovativo del Concilio Vaticano II. La dimensione di itineranza suggerita dall’immagine di “popolo” sottolinea la sequela della Chiesa dietro al Signore che la precede: una Chiesa discepola, sempre in stato di apprendimento. Dice una identità data (alle spalle) e tutta da costruire (in avanti), fino alla parusia. Diventa piuttosto evidente che una tale Chiesa è geneticamente abilitante è generativa di vita buona, piena, è in grado di far camminare le persone perché lei stessa è in cammino.di Rinaldo Paganelli moderatore Convegno diocesano Badia a Ruoti