Lettere in redazione
Florit, La Pira e il caso «Isolotto»
A questo proposito voglio rivelare un fatto che mi è stato riferito da un’autorevolissima fonte ecclesiastica (che possiede la documentazione in questione). Ecco il fatto: il Papa Paolo VI offrì al card. Ermenegildo Florit di lasciare l’Arcidiocesi di Firenze, per porre fine alle polemiche con l’Isolotto, elevandolo alla dignità di Patriarca di Venezia. Da pochissimo tempo infatti era morto il Patriarca Urbani. Il card. Florit rispose al Santo Padre pressappoco così: «Santità se Lei vuole che lasci la Diocesi di Firenze sono pronto a farlo ma non posso accettare di andare a fare il Patriarca di Venezia: se non sono stato all’altezza del compito affidatomi a Firenze, tanto meno lo potrei essere a Venezia».
Questo era l’uomo Florit. E il suo maggior collaboratore nella vicenda di don Mazzi, mons. Panerai, lo difese sempre con virile carità nei confronti della comunità dell’Isolotto che poi sarà con il tempo definitivamente dispersa dal grande pontificato missionario interamente vissuto per la libertà dei popoli e per il riscatto umano e sociale degli ultimi dal Servo di Dio Giovanni Paolo II.
Durante il viaggio di ritorno ci fu qualche scambio di battute fra il Professore e Pino ma ricordo solo che La Pira disse che al colloquio non erano stati presenti gli altri due preti coinvolti nella vicenda dell’Isolotto (figure secondarie, del resto).
Quello che La Pira pensava dell’Isolotto, ma anche del card. Florit, lo si può ricostruire sulla base di alcune sue considerazioni successive, ma certamente quella sera appariva semplicemente amareggiato. Certamente non era riuscito a smuovere il Mazzi ormai incapace a fermare un movimento di cui era ormai prigioniero neanche di una virgola.
Consigliò a Pino di non partecipare all’assemblea parrocchiale, cosa che certamente Pino non avrebbe comunque fatto data la sua notorietà (e contrarietà, nonostante tutto) e così fui io, giovane sconosciuto provinciale trapiantato a Firenze, ad essere incaricato di tornare all’Isolotto per riferire l’indomani la cronaca della famosa serata.
A distanza di tanti anni, di quella animatissima assemblea ricordo solo che in quella chiesa stracolma di parrocchiani e curiosi, io mi ritrovai dalla parte sinistra e in una postazione abbastanza elevata, vicino a una tela di Primo Conti. Ma quello che fu detto, il giorno dopo era su tutti i giornali
Lettera firmata
Ben volentieri diamo spazio a queste testimonianze, che arricchiscono di interessanti particolari la «vicenda Isolotto», che, come ben dice Beretta nell’intervista rilasciata al nostro Settimanale, «diventa immediatamente soprattutto per una sovraesposizione mediatica, aggiungo io il massimo esempio per la contestazione cattolica del ’68 e ancora oggi molti, forse non sanno neanche dove sia, però se devono citare una comunità di base, nella maggior parte, citano l’Isolotto».
Ma questi interventi mi danno anche l’occasione per sottolineare ancor più il ruolo di due persone, a cui si fa riferimento.
Il primo è mons. Panerai; lo ricordo anch’io molto bene; un prete buono, saggio, vicino al suo popolo anche nei tempi difficili e cosa che in un sacerdote non guasta mai di grande finezza d’animo, che emergeva anche nel tratto. Il suo impegno intelligente e sofferto per ricomporre o almeno attenuare la frattura fu notevole e il non esserci riuscito non dipese certo da lui.
L’altro è Giorgio La Pira. In quel frangente, quando i clamori erano altissimi, egli poteva tacere, anche se il suo silenzio sarebbe stato assordante.
Molti lo desideravano, lo speravano e in tal senso lo consigliavano, anche facendo leva su alcune incomprensioni nei suoi confronti, e che certo l’avevano fatti soffrire, da parte dalla Curia fiorentina. Ma lui parlò chiaro e forte. E per lui non c’erano dubbi: «ubi Episcopus ibi ecclesia». Forse mai come in quella presa di posizione apparve evidente la sua levatura umana e spirituale e, diciamo pure, la sua «santità».
Il «caso Isolotto» ha finito anche per segnare, nel sentire dei più, l’episcopato del Cad. Florit, come se si riducesse e si esaurisse tutto in quella vicenda. Fu invece bene altro e credo sia giunto il tempo per un’analisi approfondita e serena del suo lungo ministero fiorentino (19621977), come pure del periodo in cui fu coadiutore del card. Dalla Costa (1954-1962), senza dimenticare il Florit biblista e il suo contributo al Concilio, soprattutto in ordine all’elaborazione lunga e faticosa della «Dei Verbum», come ben risulta dal «Diario del Concilio» (ed. Dehoniane 2003) del padre Betti che fu suo perito e che il Papa ha nominato cardinale nel Concistoro del 2007.