Toscana
Firenze, sgomberato lo stabile dei Gesuiti occupato dai rifugiati somali
Pubblichiamo la nota con cui padre Ennio Brovedani illustra il percorso che ha portato a cercare soluzioni migliori per il gruppo di rifugiati somali ch aveva occupato lo stabile dei Gesuiti in vuia Spaventa, a Firenze
Sono trascorsi quasi undici mesi da quel 17 gennaio, quando un gruppo di cento rifugiati somali, con reti, masserizie e materassi, ha fatto irruzione nel palazzo di via Silvio Spaventa 4, di proprietà dei Padri Gesuiti, destinato ad ospitare un pensionato del più grande politecnico della Cina (è tutt’ora in corso la trattativa). Cosa potevamo fare? Non potevamo opporci. È prevalso in noi quel sentimento umano e civile che dovrebbe caratterizzare ogni essere umano e a maggior ragione ogni religioso e sacerdote: prima di tutto la persona – a prescindere dalla sua condizione o eventuale imputabilità – e poi anche la legalità (palesemente infranta). Senza legalità, infatti, non è possibile alcuna integrazione e convivenza civile. L’esercizio della legalità, però, esige delle rinunce da parte di tutti, deve essere contestualizzato e non deve avere come esito un ulteriore svilimento della dignità delle persone diversamente coinvolte. Soprattutto oggi che, rispetto al fenomeno migratorio, ci troviamo di fronte a una catastrofe umanitaria epocale, a un vero e proprio esodo biblico.
Per l’insieme di queste e altre ragioni, la nostra politica è stata chiara sin dall’inizio: denuncia dell’occupazione, ma niente richiesta di sgombero senza alternative dignitose (gli esseri umani non sono oggetti di cui ci si sgombera). Abbiamo invitato gli occupanti al rispetto delle regole di convivenza più elementari e ci siamo immediatamente mobilitati e attivati con la vicina parrocchia Madonna della Tosse, alcuni abitanti della zona e anche la parrocchia di S. Francesco per provvedere ai somali occupanti cibo e vestiario (quasi quotidianamente).
Contrariamente a quanto insinuato erroneamente e maldestramente dal Movimento Lotta per la Casa (principale istigatore e responsabile dell’occupazione), la vendita dell’immobile al politecnico cinese non fa parte di una “ipocrita speculazione economica”, ma di un importante progetto interculturale sollecitato dallo stesso Comune di Firenze, con rilevanti ricadute e benefici per la vivacità e creatività culturali e sociali della nostra città. Tanto più che il ricavato della vendita dell’immobile è destinato a sostenere alcuni progetti dei gesuiti italiani, tra cui l’avvio di un nuovo centro di accoglienza per rifugiati a Roma. Però ci siamo opposti allo sgombero, senza alternative reali e dignitose.
In tutti questi mesi abbiamo continuato a portare aiuti umanitari agli occupanti somali e, nello stesso tempo, abbiamo avviato una lunga ed impegnativa politica di mediazione con le istituzioni e le associazioni locali al fine di trovare una soluzione per un’accoglienza più dignitosa dell’attuale, anche perché l’occupazione non è certo la soluzione. Recandoci nel palazzo quasi tutti i giorni, abbiamo constatato durissime condizioni climatiche (in particolare con l’arrivo del freddo), insostenibili condizioni di degrado e insicurezza nelle diverse stanze, tra cui condizioni igienico-sanitarie sempre più critiche e bombole a gas fuori norma. L’occupazione, infatti, non favorisce l’integrazione, ma rischia di emarginare e sradicare ulteriormente le persone dal contesto sociale e civile in cui dovrebbero non solo coesistere ma convivere.
La nostra politica di mediazione è stata attuata tramite un permanente tavolo di trattative, incontrando più volte l’assessore comunale e il prefetto. Abbiamo tentato di coinvolgere le associazioni del territorio, le parrocchie e lo stesso Imam (gli occupanti sono musulmani). Abbiamo scritto diverse lettere per raccomandare la ragionevolezza di tutti: possibilmente “convincere” e mai vincere.
Siamo contenti e riconoscenti che, dopo undici mesi, la collaborazione tra Comune di Firenze, Sprar (Anci e Ministero dell’Interno), Caritas Diocesana (in prima linea per trovare soluzioni più dignitose e ragionevoli), Compagnia di Gesù in Italia e altre associazioni, permetta di prospettare soluzioni molto più dignitose rispetto a quelle proposte inizialmente. E’ stata una sinergia importante e collaborativa che ha permesso di individuare diverse tipologie di soluzioni: centri Sprar, centri di accoglienza per donne, soluzioni di autonomia abitativa condivise con gli occupanti, concessione di titoli di viaggio a chi ne ha i requisiti, albergo popolare. Si tratta di soluzioni che sono state accettate da tutti gli occupanti, fuoriusciti dall’immobile senza alcuna resistenza e che adesso potranno sperimentare un’accoglienza meno disumana dell’occupazione, nella speranza di una loro graduale integrazione.
Ci preoccuperemo di monitorare, insieme alle istituzioni e associazioni coinvolte, lo sviluppo dei diversi progetti di accoglienza.
Padre Ennio Brovedani
Responsabile legale dell’immobile e Presidente della Fondazione Stensen