Firenze

Firenze: “Pellegrini di speranza”, partito il ciclo di conferenze organizzato dall’Opera di Santa Maria del Fiore

L'incontro, nell'antica canonica di San Giovanni, ha visto come relatore mons. Rino Fisichella, proprefetto del Dicastero dell'evangelizzazione e responsabile dell'organizzazione del Giubileo. Presentato anche il libro "I luoghi della speranza. Il viatico del pellegrino", edito da Mandragora e curato dall'Opera di Santa Maria del Fiore e da Toscana Oggi

Si è aperto oggi, 25 marzo, festa dell’Annunciazione e capodanno fiorentino, il ciclo di conferenze “Pellegrini di Speranza”, organizzato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, con il primo appuntamento che ha visto come relatore mons. Rino Fisichella, proprefetto del Dicastero dell’evangelizzazione e responsabile dell’organizzazione del Giubileo, con l’intervento “La Speranza non delude” nell’Antica canonica di San Giovanni. Presentato anche il libro “I luoghi della speranza. Il viatico del pellegrino”, edito da Mandragora e curato dall’Opera di Santa Maria del Fiore e dal settimanale Toscana Oggi, sui luoghi che Firenze ha creato per la cura dei pellegrini e dei bisognosi nel corso dei secoli.

Riprendendo la bolla di indizione del Giubileo, Fisichella ha ricordato quanto tutti sperino: “è un’esperienza universale, ha ragione il Papa” ha iniziato. “Abbiamo bisogno, però, di passare dalle speranze alla Speranza” ha continuato, richiamando il periodo di cambiamento antropologico che stiamo vivendo. “Il potere delle nuove tecnologie fanno sì che la Speranza vada a diminuire, abbiamo tutto a portata di mano, non abbiamo più bisogno di sperare” ha detto. Collocandosi in questo contesto di cambiamento, “il Giubileo ci chiede di fermarci e chiederci il senso della vita, recuperare uno spazio di silenzio e cogliere questo momento opportuno per metterci in cammino”. L’immagine della porta santa è stata ricordata come meta dei pellegrini, simbolo di del Signore Gesù e del ricongiungimento con l’intera Chiesa, “la prima che crede e che spera” ha affermato l’Arcivescovo.

Rispondendo alla domanda “cosa è la Speranza?”, mons. Fisichella ha citato poi la lettera di San Paolo agli Efesini: “La Speranza ha un volto, quello di Gesù Cristo” ha risposto, dal quale nulla potrà separarci. “Abbiamo bisogno di dare dei segni tangibili di questo” ha continuato, prendendo ad esempio l’apertura della porta santa nel carcere di Rebibbia. Ma si tratta anche di recuperare una cultura che mette questa virtù teologale al centro. “Lo notiamo dal problema della denatalità – ha affermato -. Viene meno la cultura del trasmettere la vita, del generare, viviamo sotto il ricatto della paura. Se i nostri genitori non avessero avuto Speranza, molti di noi oggi non sarebbero qui. Il fattore economico è una parte del problema, ma c’è a che un aspetto culturale” ha sottolineato.

L’Arcivescovo ha voluto concludere, infine, con un riferimento all’arte. “Gli artisti hanno fatto fatica a rappresentare questa virtù, ma grazie alla lettera di San Paolo agli Ebrei, ci è stata data l’immagine di un’ancora di salvezza che da stabilità”. Simbolo molto presente nelle catacombe di Priscilla, dove i cristiani hanno voluto imprimerlo “sulla morte, dicendo che è vinta in forza della resurrezione” ha continuato. La Speranza ci parla di una “vita che non termina e noi ne abbiamo certezza, in forza della Fede e dell’Amore che non delude” ha concluso Fisichella.