Vita Chiesa

FIRENZE, MONS. BETORI: UN NUOVO UMANESIMO CHE SI ALIMENTI DI CULTURA E VANGELO

«Tornare alla realtà della condizione umana, avendo come meta un nuovo umanesimo, che sappia ancora trarre dall’incontro tra Vangelo e cultura la sua radice e il suo alimento». È questo l’appello lanciato stamani dall’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, nella solennità di San Giovanni Battista, patrono del capoluogo toscano.In una società che sembra stordirsi tra le immagini e le opinioni, «non si tratta – a giudizio di Betori – di edificare sul nulla, perché i valori minimi dell’umano non sono scomparsi, proprio perché legati alla natura dell’uomo e non al variare delle sue forme storiche. Né sono del tutto dissolti i valori che ci legano in relazioni, magari più complesse del passato ma non meno possibili e creative. Le ferite che l’uomo contemporaneo porta con sé sono probabilmente profonde e dolorose, e non manca ovviamente chi ne soffre in modo angoscioso e talora convulso. Ma la disgregazione non è un vuoto incolmabile e sentiamo di dover rifiutare i profeti di sventura che proclamano la morte sociale. Non è morta questa società, perché non è morto l’uomo che ne è l’elemento costitutivo Qualsiasi sia lo sfiguramento del suo volto, egli porta sempre con sé una scintilla divina».«Si tratta – spiega l’arcivescovo – di reagire ad un certo appiattimento di ideali e di propositi che sembra appesantire il sentire diffuso, la cultura dominante. Si tratta di contrastare lo smarrimento dei più, l’anestesia di molte coscienze, la perdita di riferimenti alti e condivisi, demoliti da una critica corrosiva, che spegne ogni ardire, oscura ogni visione».Da qui il tradizionale appello alla città sintetizzato, al termine dell’omelia, nel grido «Viva Fiorenza!», il tipico grido che conclude il «saluto alla voce» prima delle partite del Calcio storico fiorentino e che, per una volta, è risuonato in Cattedrale, sotto la cupola del Brunelleschi, nel giorno del patrono di Firenze. Una città, ha sottolineato Betori, che ha bisogno «di una visione grande, audace, nel senso più pieno “divina” – come la suggerirebbe il poeta Dante – per ritrovare la sua identità, il suo nome: “Fiorenza” », appunto: «Riscoprire questo nome, non più come un retaggio dei secoli passati, pur gloriosi e colmi di fascino, ma come un compito per il presente e per il futuro: ecco un traguardo bello e da condividere fra tutti». Secondo l’arcivescovo, quindi, «si tratta certamente di fare cose giuste e utili per la convivenza civile di Firenze, ma prima ancora di poter giungere a condividere una visione alta della città, una prospettiva civica che non ci lascia soltanto in balia della nostra buona volontà – pur necessaria ma ahimè da sola insufficiente –, bensì ci chiama a condividere un disegno complessivo del nostro futuro, che solo può farci superare gli ostacoli della complessità dei problemi del presente».Betori si è anche interrogato «su quale direzione potrebbe prendere la ricostruzione del volto umano di Firenze» e ha indicato la strada della bellezza sostanziale, «contro l’oppressione di una tecnologia senza anima e uno sviluppo di marca bassamente utilitaristica, senza spazio per lo spirito e per la gratuità».