Vita Chiesa
FIRENZE, MESSA PER ANNIVERSARIO LA PIRA; MONS. PAGLIA: OGGI MANCANO LE GRANDI VISIONI CAPACI DI MUOVERE I CUORI
«Giorgio La Pira parla ancora adesso. Lo fa «in maniera diretta, in un mondo che ha smesso di sognare», lo fa come una «luce che illumina i passi di questo inizio di millennio». Lo ha sottolineato mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, che venerdì 5 novembre ha celebrato nella basilica fiorentina di San Marco dove La Pira è sepolto una Messa nel 33° anniversario della morte. In una chiesa gremita soprattutto di giovani (provenienti anche da Pozzallo) mons. Paglia ha iniziato la sua omelia «lapirianamente», facendo cioè il «punto» sulla navigazione storica dell’umanità. Da quel 5 novembre 1977, tante cose sono cambiate. «È terminato il mondo che La Pira aveva traversato, un mondo diviso in due, segnato da tragedie terribili… ma anche da speranze come quelle suscitate dal Concilio». Ma ha proseguito mons. Paglia «è terminato anche il mondo successivo, quello nato dopo l’89 con le speranze di una nuova era di pace e di democrazia planetaria». Un «patrimonio preziosissimo» che in pochi anni gli uomini hanno dissipato. «Ed è iniziato un periodo di ripiegamento identitario con susseguenti laceranti conflitti», alimentati perfino dalle tre grandi fedi abramitiche. «Siamo entrati nel nuovo millennio ha detto ancora il vescovo un po’ a testa bassa, ripiegati su se stessi, senza più le grandi visioni capaci di muovere i cuori, quelle che La Pira aveva vissuto e propagato». E ancora oggi l’«orizzonte appare segnato da una nebbia triste che porta ciascuno a chiudersi. È la nebbia di un individualismo popolare, planetario, che impedisce di guardare oltre e che giustifica ogni rassegnazione». per questo, mai come oggi, abbiamo bisogno «di cristiani che sappiano sognare e scaldarsi per un mondo di pace, non violento, fraterno, solidale, giusto, senza conflitti e senza confini». In questo c’è di esempio La Pira, la cui memoria «non è un ricordo lontano. Al contrario, resta una sorgente da cui attingere». «Aveva visioni universali e viveva di passione religiosa e divina per la sua città e per il mondo, per la Chiesa e per le Nazioni». Un uomo che per taluni era un «sognatore pericoloso» ma che invece si era lasciato illuminare dallo Spirito, mettendo la sua «scaltrezza», quella che il Vangelo loda nell’amministratore disonesto, a servizio «della pace fra i popoli e dell’unità tra le nazioni, come pure per una città che fosse a misura di tutti a partire dai più poveri».