Vita Chiesa

FIRENZE, MESSA PER ANNIVERSARIO ALLUVIONE 1966; MONS. BETORI: DIFESA AMBIENTE DOVERE BASILARE

“Non ci può essere cura della persona se non in un contesto di sicurezza del territorio che ne costituisce l’habitat. Si tratta di un’attenzione primaria e cautelare, che ha anche ritorni economici a tutti evidenti. A fronte dei molteplici sprechi e della dissipazione di risorse che ancora caratterizzano molte scelte, occorre richiamare a questo dovere vitale e basilare. Una richiesta da fare anche a chi ha responsabilità di gestione della cosa pubblica”. Con queste parole l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori ha ricordato, durante una Messa celebrata nell’oratorio di Santa Maria alle Grazie, le vittime dell’Alluvione che colpì Firenze il 4 novembre del 1966. “Non possiamo delegare tutto – ha aggiunto – agli interventi postumi, che quando ci ridanno le nostre case non ci ridonano i nostri morti”.Alla memoria delle 35 vittime di quarantaquattro anni fa, Betori ha associato quella della mamma e del suo bambino deceduti sulle colline di Massa domenica scorsa e degli altri dissesti idrogeologici di questi giorni: “Non possiamo non unire al ricordo delle sofferenze fiorentine del passato quelle odierne del territorio di Massa e delle regioni del nord-est d’Italia. Firenze si sente vicina a città e borghi in cui si rivive una sofferta esperienza di privazione e di lutto”. L’arcivescovo di Firenze ha parlato anche della generosità degli “angeli del fango”, dei quali lui stesso, giovane seminarista, fece parte. “Prendersi cura – ha affermato Betori – significa anche aprire il cuore alla generosità e impegnarsi di persona accanto a chi soffre. Lo fecero molti giovani quarantaquattro anni fa per la nostra cara città, i suoi abitanti, le sue case e i suoi tesori di bellezza; e loro stessi o le generazioni successive hanno continuato a farlo in tanti altri eventi tragici, nel nostro Paese e nel mondo. È un volontariato che non ha bisogno di sciagure e catastrofi per esprimersi, ma costituisce un tessuto virtuoso di questa città da sempre, e ancora oggi non smette di farsi accanto a chi soffre ed è più fragile non solo perché è vittima delle calamità maturali, ma perché si trova nella malattia, nella povertà, nel disagio sociale, nella solitudine. A queste schiere di “angeli”, servitori dei fratelli nella gratuità, va oggi il nostro grazie, perché se c’è un argine da porre al riversarsi delle acque sul nostro territorio, c’è un ancor più alto argine da porre alle manifestazioni di odio, intolleranza, esclusione, prevaricazione, opportunismo, indifferenza, che lacerano le nostre società”.