Cultura & Società
Firenze, la «Clemenza di Tito» chiude la stagione lirica 2019
La sua composizione risale all’estate del 1791, quando Mozart era molto occupato in varie composizioni, fra le quali un Requiem commissionato da un misterioso mandatario e il Flauto magico. A luglio giunse anche la richiesta prestigiosa di comporre l’opera celebrativa per l’incoronazione di Leopoldo II d’Asburgo a re di Boemia, opera che avrebbe debuttato a Praga il 6 settembre. Nonostante i requisiti positivi, non ultimo l’ottimo compenso economico, c’era il neo rappresentato dal libretto, che viene imposto al compositore: La clemenza di Tito un libretto di Pietro Metastasio.
Un’opera per un’incoronazione doveva essere necessariamente solenne e austera e per omaggiare un sovrano illuminato, quale si era dimostrato Leopoldo da Granduca di Toscana, la scelta era caduta su un soggetto aulico versificato da Metastasio nel lontano 1734 e messo già in musica da Antonio Caldara per Carlo VI, nonno di Leopoldo. Da allora il libretto era stato musicato almeno una quarantina di volte da compositori diversi, tra cui Hasse, Gluck e Guglielmi. Ma dopo quasi sessant’anni i gusti del pubblico sono cambiati e per ristabilire un giusto equilibrio e alleggerire la ripetitiva sequenza di recitativo-aria, paradigma dell’opera seria settecentesca, il poeta Caterino Mazzolà riduce gli atti da tre a due, taglia molti recitativi e trasforma alcune arie in pezzi d’insieme. Ciò consente a Mozart di dare nuova vita ai personaggi stilizzati dell’opera settecentesca e far emergere ancora di più il protagonista Tito nella sua statura di sovrano saggio, capace di comprendere e perdonare le debolezze altrui. Dai duetti ai terzetti, dal quintetto con coro ai finali d’atto, inoltre, gli ensemble vocali costituiscono il punto di forza di un’opera di arcaica e statuaria bellezza come la Clemenza di Tito, canto del cigno di un genere e di un’epoca ormai in declino.
«È un’opera considerata in maniera controversa dai critici che si sono succeduti dal settecento in poi. C’è chi la considera il capolavoro di Mozart, chi un’opera non compiuta, chi un salto nel passato dopo le grandi novità della trilogia di Da Ponte o dello stesso Flauto magico – commenta Federico Maria Sardelli -. Io non credo a nessuna di queste interpretazioni: Mozart è un uomo di grande aderenza contemporanea, un uomo moderno per gli standard del suo tempo. Viene chiamato a celebrare un monarca e sceglie un libretto che celebri un monarca quindi opta per qualcosa di chiaramente convenzionale nel tema ma non altrettanto convenzionale nella scrittura musicale. Il finale del primo atto è di una potenza espressiva che non si era mai sentita in un’opera seria di quegli anni e questo ci dà la misura di cosa sarebbe riuscito a fare se fosse vissuto altri dieci, venti anni e non fosse morto di lì a tre mesi. Non è un salto nel passato, non è un’opera minore, non è un’opera controversa, è come lui avrebbe continuato a scrivere se avesse vissuto ancora».
Scene e costumi: John Macfarlane- Luci: Hans Toelstede – Figuranti speciali Gaia Mazzeranghi, Federico Zini