Firenze
Firenze, la cappella di Casa della Carità diventa chiesa giubilare
L'annuncio del vescovo Gambelli alla Messa nel mercoledì delle Ceneri

“Ho voluto che nella nostra Diocesi a partire dall’inizio di questa Quaresima fino alla chiusura del Giubileo la cappella della Casa della Carità di via Corelli fosse un’altra delle chiese giubilari in cui è possibile ricevere l’indulgenza con le consuete indicazioni”. Lo ha annunciato oggi l’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli durante la Messa celebrata nel Mercoledì delle Ceneri. “La visita e la preghiera in questo luogo – ha spiegato – diventino un’occasione per interessarsi alle attività della Caritas diocesana e impegnarsi in esse”.
Casa della Carità è la struttura nata come “opera segno” in occasione del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015 (quando venne a Firenze anche papa Francesco). Ospita varie attività caritative, fra cui un “condominio solidale”. La cappella si aggiunge così alle altre chiese giubilari della diocesi (oltre alla cattedrale, i santuari della Santissima Annunziata, Monte Senario, Santa Maria all’Impruneta, Santa Verdiana a Castelfiorentino).
Gambelli ha parlato anche del progetto “molto significativo” scelto dalla diocesi per la Quaresima di Carità 2025: un progetto, ha sottolineato, che “servirà per l’emergenza abitativa e permetterà di sostenere le famiglie in difficoltà segnalate dalle Caritas parrocchiali”.
Qui sotto, il testo integrale dell’omelia
Cari fratelli e sorelle, la preghiera di colletta con cui abbiamo iniziato la Messa di oggi ci offre tre immagini su cui possiamo riflettere per cogliere il senso della celebrazione odierna: “Concedi, Signore, al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male”. Un cammino, un combattimento, una vittoria.
Il tempo quaresimale che iniziamo oggi è anzitutto un cammino di quaranta giorni. Come il popolo d’Israele, siamo invitati a compiere un esodo: a uscire dalla schiavitù dei nostri peccati per vivere nella libertà dei figli di Dio.
Un celebre testo della Lettera agli Ebrei ci ricorda che il demonio tiene tutti prigionieri con la paura della morte: “Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,14-15).
La libertà è il frutto di un cammino, in cui mettendoci in ascolto della verità, ci lasciamo progressivamente condurre dal Signore verso la comunione con lui. Si tratta allora di abbandonare le false immagini di Dio che ci rendono prigionieri, proprio come ci ricorda la prima lettura di oggi, tratta dal libro del profeta Gioele: “Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. Il progresso in questo cammino di verità e libertà si verifica sulla crescita in quell’intimità di relazione con il Signore che permette un atteggiamento quasi sfrontato nei suoi confronti. I sacerdoti e i ministri pregano infatti per il popolo facendo leva sul disonore che ricadrebbe sul Signore nel caso in cui non intervenisse e i nemici si facessero beffe di lui: “Perché si dovrebbe dire fra i popoli: Dov’è il loro Dio?”.
La seconda immagine è quella di un combattimento contro lo spirito del male da affrontare con le armi della penitenza. Le armi della penitenza sono quelle che ci vengono indicate nel Vangelo di oggi: l’elemosina, la preghiera, il digiuno.
Gesù insiste più sulla qualità che sulla quantità delle opere, mettendo l’accento sull’importanza di compierle nel segreto. È bello quello slogan che dice: “Il bene si fa con il passamontagna in testa”, che richiama la bella tradizione di un tempo dei fratelli e delle sorelle della Misericordia di coprirsi il volto per non farsi riconoscere quando andavano ad assistere le persone in difficoltà.
È interessante osservare l’ordine delle tre opere di pietà raccomandate. Gesù mette al primo posto l’elemosina per ricordarci che il secondo comandamento è simile al primo. La relazione con Dio cresce nella misura in cui sappiamo farci prossimo dei nostri fratelli e sorelle più piccoli.
Proprio per sottolineare questo aspetto ho voluto che nella nostra Diocesi a partire dall’inizio di questa Quaresima fino alla chiusura del Giubileo la cappella della Casa della Carità di via Corelli fosse un’altra delle chiese giubilari in cui è possibile ricevere l’indulgenza con le consuete indicazioni. La visita e la preghiera in questo luogo diventino un’occasione per interessarsi alle attività della Caritas diocesana e impegnarsi in esse. Il progetto molto significativo scelto per la Quaresima di Carità 2025 servirà per l’emergenza abitativa e permetterà di sostenere le famiglie in difficoltà segnalate dalle Caritas parrocchiali.
La terza immagine è quella di una vittoria che ci è promessa. Papa Francesco nell’Esortazione Evangelii Gaudium ci ricorda che “una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo […]. Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che è al tempo stesso vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male” (EG 85).
Tenerezza combattiva sembra un ossimoro; eppure, è questo l’unico vero trionfo, quella della croce, di quella logica per cui il male si vince solo con il bene. Solo se restiamo agnelli potremo vincere il lupo, diceva San Giovanni Crisostomo.
In un film del 2003 dal titolo Una settimana da Dio, l’attore Jim Carrey interpreta il ruolo di Bruce Nolan, un giornalista che riceve da Dio tutti i suoi poteri. Bruce diventa onnipotente: può aprire in due una zuppa al pomodoro come Dio aveva separato il Mar Rosso, può camminare sulle acque come Gesù nei Vangeli, può addirittura spostare la luna, avvicinandola alla terra in occasione di una serata romantica. Ma quando Grace, la sua fidanzata, lo lascia e lui prova ad attirarla di nuovo a sé ordinandole di amarlo, si rende conto di essere impotente: Grace tira dritto e se ne va.
Bruce protesta con Dio: se non può obbligare la sua ragazza ad amarlo, Dio non lo ha reso davvero onnipotente come lui, lo ha preso in giro. Dio però lo spiazza. Gli risponde che nessuno può obbligare un altro essere umano ad amarlo, nemmeno Dio stesso. Perché il criterio supremo dell’amore non è la passione. Il criterio supremo dell’amore è la libertà.
Fa’ o Signore che ci affasciniamo a questo tuo modo di amare perché anche noi sappiamo rendere ragione della speranza che è in noi con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di noi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla nostra buona condotta in Cristo.