Vita Chiesa

FIRENZE, INGRESSO ARCIVESCOVO BETORI, IL SALUTO DELLE AUTORITA’

«Eccellenza, una sola parola: benvenuto a Firenze, benvenuto nella nostra città da parte di tutta Firenze, da parte delle istituzioni locali, da parte dei cittadini, da parte del popolo di Firenze e dei comuni vicini». Le prime parole con cui il sindaco Leonardo Domenici (testo) ha accolto monsignor Giuseppe Betori sul sagrato di Santa Maria del Fiore – al termine del suo cammino dalla Santissima Annunziata lungo via de’ Servi – sono state sottolineate con un grande, prolungato applauso dalla folla che gremiva la piazza. Riferendosi «alle prime parole che ci ha rivolto, di volersi sentire un fiorentino tra i fiorentini», Domenici, parlando a braccio, ha quindi aggiunto: «Firenze è una città speciale, è la città della pace, del dialogo, del confronto, della solidarietà, ma è anche una città come le altre che vive le sue contraddizioni e i suoi problemi, e con queste contraddizioni e problemi noi tutti dobbiamo fare i conti». Dopo aver ricordato, a questo proposito, l’opera di coesione sociale favorita dalla tradizione di volontariato della città, il sindaco ha concluso: «Mi auguro di potere avere in questi mesi un rapporto forte e fecondo con lei, di profonda collaborazione, nel segno e nel nome del comune servizio alla comunità e alla cittadinanza».«Per non fare errori ho scritto, immaginerete l’emozione», si è come giustificato il nuovo arcivescovo all’inizio del suo saluto, spesso interrotto dagli applausi, specialmente quando ha ricordato che Firenze, nella sua intera storia, «mai ha inteso il vescovo come un intruso, un estraneo, un forestiero, ma un fiorentino tra i fiorentini, un fratello nella carità di Cristo, un padre spirituale, un promotore dell’unità morale, un difensore dei deboli, il successore degli apostoli, dunque l’araldo del Vangelo, che lega Firenze di oggi alla genuina predicazione apostolica». Betori ha quindi ricordato ancora una volta – «l’ultima, perché non diventi un tormentone», ha precisato – la sua esperienza di «angelo del fango» durante l’alluvione del 1966, non per salvare opere d’arte ma per « liberare dal fango le cantine delle case della gente semplice del popolo», nella zona di Badia a Ripoli. « Da oggi – ha quindi aggiunto – la città di Firenze e i suoi reggitori possono contare su un cittadino in più, che ne ha a cuore le sorti e lealmente si impegna a caratterizzarne il volto, perché sia sempre meglio conforme a quell’indole umanistica che il seme del Vangelo qui originalmente fecondò a beneficio e a consolazione della stirpe umana. Possa la nostra città rivivere, nelle forme che i nuovi tempi esigono, il carattere antico che Dante nella Firenze ideale del Cacciaguida descrive come un “viver di cittadini” “riposato”, “bello”, “fida cittadinanza” e “dolce ostello” (Divina Commedia, Paradiso XV, 130-132). Dal canto suo, la Chiesa non potrà farle mancare, oggi più di ieri, il proprio apporto di virtù, di preghiera e di santità di vita, passando per il crogiuolo di una conversione che – con la grazia divina – scuote le coscienze, toglie le incrostazioni, dà il gusto della trasparenza, risveglia alla vigilanza. E nessuno più – Dio lo voglia – sia scandalizzato». E ancora: «Oggi, come al tempo di Dante, dobbiamo affrontare una nuova stagione: questo non ci impedisce di essere consapevoli che le nostre radici non sono un peso che ci angustia, ma una risorsa per orientare il futuro secondo canoni di autentica umanità. Di queste radici, la Chiesa è parte significativa: offre a tutti una sapienza di vita e un’operosa testimonianza solidale, che ci indirizzano a una vita buona, fondata sulla verità e aderente alla realtà. È una sapienza che non riposa su un’ideologia ma sull’esperienza viva dell’incontro con la persona di Gesù, che ci cambia e ci rende nuovi. L’annuncio e la testimonianza di questo incontro è ciò che abbiamo di più proprio e ciò che dà fondamento al nostro impegno e servizio per la città».La diretta sull’ingresso a Firenze di mons. Betori