Arte & Mostre
Firenze, il «Dio fluviale» di Michelangelo torna al pubblico
«Pezzi di legno e di piane (assi) confitti insieme, e fasciati poi di fieno e di stoppa, e con funi legato ogni cosa strettamente insieme, e sopra messo terra mescolata con cimatura di panno lino, pasta e colla ( …) riescono nondimeno leggieri e, coperte di bianco, simili al marmo». Era questa la procedura per la costruzione delle figure effimere di terra, così come descritto da Giorgio Vasari nella Vita di Jacopo della Quercia, modelli ad uso degli artisti, costruiti in terra, argilla e altri materiali e destinati per loro natura ad essere distrutti. Ma non sempre.
L’eccezionale fama del suo autore ha permesso che un’opera così fragile come questa sia sopravvissuta fino ai nostri giorni e abbia ancora in serbo molto da raccontare. Parliamo del modello in terra cruda del «Dio Fluviale» di Michelangelo Buonarroti, datato 1526/1527 di proprietà dell’Accademia delle Arti del Disegno, che grazie a un importante restauro realizzato dall’Opificio delle Pietre Dure con il mecenatismo della Fondazione Friends of Florence torna visibile al pubblico nella Sala al primo piano di Casa Buonarroti insieme al grande modello ligneo per la facciata della Chiesa di San Lorenzo, 1518 circa, due opere collegate alla fabbrica di San Lorenzo e mai realizzati, in attesa dell’esposizione a Palazzo Strozzi, dal 21 settembre in poi, per la mostra dedicata al Cinquecento a Firenze e ai suoi protagonisti.
Un modello per una scultura che avrebbe dovuto trovare collocazione alla base dei monumenti funebri dei duchi medicei, nella Sagrestia Nuova, ma che non ebbe mai la forma sublime del marmo. Fu l’architetto Bartolomeo Ammannati che il 28 aprile del 1583 fece dono all’Accademia delle Arti del Disegno di «un modello di terra colla cimatura di braccia 4 di mano di Michelangelo Buonarroti che aveva donato il granduca Cosimo» e che è giunto fino a noi «imperniato e ruotato incongruamente» come nota Giorgio Bonsanti, conservato dal dicembre del 1965 in deposito presso Casa Buonarroti a Firenze.
Un’opera che sin dal Cinquecento aveva subito numerosi interventi e che necessitava di un restauro conservativo, un lavoro durato tre anni che è stato compiuto in loco dall’Opificio delle Pietre Dure, con la direzione di Laura Speranza e di Giorgio Bonsanti per l’Accademia delle Arti del Disegno e interamente realizzato da Rosanna Moradei. Un restauro impegnativo anche dal punto di vista diagnostico e che ha riportato alla luce il Bianco di Piombo usato da Michelangelo ad imitazione del marmo. «L’intervento, lungo e sensibile – ha detto Cristina Acidini Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno – ci consegna un’immagine che non si conosceva: un corpo potente, al quale il ritrovato biancore conferisce l’illusorio aspetto del marmo, pronto, come doveva essere nelle intenzioni di Michelangelo, per una «prova generale» nella Sagrestia nuova in San Lorenzo». Grazie al decisivo contributo di Friends of Florence e in particolare dei donatori Mary Sauer e Robert Doris che hanno finanziato il restauro è stato possibile realizzare anche una copia di studio, in resina e in scala 1:1 che ci mostra la posizione originaria del modello, disteso su un fianco, ruotato verso l’osservatore.
Nel maestoso refettorio di Santa Croce la presentazione del restauro, non lontano dalla tomba che conserva i resti mortali del grande artista che fu Michelangelo.