Firenze
Firenze, Gambelli: “Tanti faticano a trovare casa e lavoro”
L'omelia nella basilica di santa Croce. Poi il pranzo con gli ospiti di Fondazione Caritas
“Tante persone nella nostra città di Firenze faticano a trovare una casa e un lavoro. Dio ama chi dona con gioia e potremmo aggiungere che dona la gioia a chi ama”. Lo ha detto l’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli nella Messa celebrata questa mattina nella basilica di Santa Croce, nella festa dell’Esaltazione della Croce. Al termine della celebrazione l’Arcivescovo si è trattenuto a pranzo nel chiostro della Basilica con 150 ospiti della Fondazione Solidarietà Caritas. L’iniziativa del pranzo viene promossa, ormai da tre anni, dalla Comunità dei Francescani, dall’Opera di Santa Croce con Caritas diocesana e Fondazione Caritas
Ecco di seguito il testo le foto e dell’omelia.
OMELIA
Da alcuni anni è sorta qui a Santa Croce la bella tradizione di anticipare la celebrazione della giornata mondiale dei poveri in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce del 14 settembre. Come ci ricorda papa Francesco nel suo messaggio per questa ottava giornata mondiale dei poveri del 2024: “La giornata dei poveri è un’occasione propizia per realizzare iniziative che aiutano concretamente i poveri, e anche per riconoscere e dare sostegno ai tanti volontari che si dedicano con passione ai più bisognosi. Dobbiamo ringraziare il Signore per le persone che si mettono a disposizione per ascoltare e sostenere i più poveri. Sono sacerdoti, persone consacrate, laici e laiche che, con la loro testimonianza, danno voce alla risposta di Dio alla preghiera di quanti si rivolgono a Lui”.
Le letture della Messa che abbiamo ascoltato vogliono aiutarci a crescere nella fede, vivendo quell’equilibrio fra preghiera e carità che è necessario per non cadere nei rischi di uno spiritualismo vuoto o di una filantropia che presto si esaurisce. Potremmo riassumere il messaggio della Parola di Dio di oggi facendo ricorso a tre immagini del nostro corpo: il cuore, la testa, la mano.
Il libro dei Numeri ci presenta l’episodio del popolo di Israele che mormora nel deserto contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatti salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto?” Un proverbio della tradizione ebraica dice che “per il Signore fu più facile far uscire Israele dall’Egitto, che l’Egitto dal cuore d’Israele”. I serpenti che mordono gli Israeliti e provocano la loro morte sono da interpretare, non tanto come il castigo di Dio, ma come un’immagine delle conseguenze penose del peccato di idolatria del popolo. Anche noi facciamo esperienza di qualcosa di simile nella nostra vita, ogni volta che mettiamo il nostro “io” al posto di Dio. Sappiamo tuttavia che il Signore è fedele in eterno e quando noi ci riconosciamo peccatori, egli sempre interviene per guarirci. Il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto è un segno del perdono di Dio. Non è il peccato, dunque, che ci separa dal suo amore, ma piuttosto la presunzione di essere giusti o la disperazione nella quale cadiamo quando ci accorgiamo di aver sbagliato, pensando di non poter più rialzarci dalla caduta. Le persone povere dispongono di una misteriosa sapienza che può aiutarci a crescere nella fede in Dio misericordioso. Esse, infatti, non possedendo molti beni, confidano nell’unico bene che è la comunione con Dio, sanno riconoscerlo come un Padre con un cuore di madre. L’ascolto costante della Parola di Dio, può aiutarci a lasciar penetrare nell’intimo del nostro cuore la forza risanatrice della misericordia di Dio.
Parlando ora della testa, intendo riferirmi al frutto dello Spirito Santo che suscita in noi un cambiamento di mentalità.
È interessante osservare come l’evangelista Giovanni veda nella morte di Gesù sulla croce il compimento dell’episodio narrato nel libro dei Numeri: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Notiamo che adesso il guardare colui che è stato innalzato, viene specificato nel senso di credere in lui, il Figlio dell’uomo. La fede in lui può dare non solo la guarigione, ma la vita eterna che comincia già nel tempo presente. Questa parola di Gesù si trova inserita nel conteso di un dialogo notturno con Nicodemo, centrato proprio sul senso della vita: “Se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio”. Nascere dall’alto significa lasciarsi guidare dallo Spirito Santo che trasforma il nostro modo di vedere e di pensare. La logica del mondo ci porta spesso a immaginare che la felicità possa venire da possedere molte cose o da diventare qualcuno. Il Vangelo ci dice che la gioia vera viene piuttosto dall’essere con Dio e dal vivere nell’amore. Sarebbe bello che la giornata dei poveri fosse non soltanto un evento che celebriamo una volta l’anno, ma che diventasse il punto di partenza per uno slancio di solidarietà più coraggioso da vivere per tutto l’anno. Tante persone nella nostra città di Firenze faticano a trovare una casa e un lavoro. Dio ama chi dona con gioia e potremmo aggiungere che dona la gioia a chi ama. C’è un bel pensiero di Madre Teresa di Calcutta che Papa Francesco cita nel messaggio per la giornata mondiale dei poveri di quest’anno. Quando nell’ottobre del 1985 parlò nell’assemblea Generale dell’ONU, mostrando a tutti la corona del rosario che teneva sempre in mano, disse: “Io sono soltanto una povera suora che prega. Pregando, Gesù mi mette nel cuore il suo amore e io vado a donarlo a tutti i poveri che incontro sul mio cammino. Pregate anche voi! Pregate, e vi accorgerete dei poveri che avete accanto. Forse nello stesso pianerottolo della vostra abitazione. Forse anche nelle vostre case c’è chi aspetta il vostro amore. Pregate e gli occhi si apriranno e il cuore si riempirà di amore”.
Nell’ultima parte del vangelo di oggi Gesù parla della salvezza del mondo. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna”. Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità. Il dono della salvezza può essere custodito solo nella misura in cui sappiamo condividerlo. Potremmo allora guardare le nostre mani e chiederci se sono aperte e pronte a essere stese verso il prossimo, oppure se sono chiuse per accumulare o aggredire. Anche su questo aspetto, impariamo dalla sapienza dei poveri l’importanza della solidarietà. Mi è capitato tante volte di ascoltare le testimonianze dei volontari del banco alimentare che stando fuori dai supermercati spesso fanno esperienza di una generosità manifestata principalmente proprio dalle persone più semplici e povere, rispetto a quelle più ricche e benestanti. In questo modo i poveri diventano ancor di più per noi un modello, perché ci ricordano come nessuno si salva da solo, né con le proprie forze, né come individuo isolato. Mi viene in mente una bella storia. Un uomo, il suo cavallo e il suo cane camminavano lungo una strada. Mentre passavano accanto a un albero gigantesco, si abbatté un fulmine e morirono tutti fulminati. Ma l’uomo non si accorse di avere ormai lasciato questo mondo e continuò a camminare con i suoi due animali. Era una camminata molto lunga, su per la collina, il sole era forte e loro erano tutti sudati e assetati. Avevano disperatamente bisogno di acqua. A una curva della strada, avvistarono un magnifico portone, tutto di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale c’era una fontana da cui sprizzava dell’acqua cristallina. Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata: “Buongiorno!” “Buongiorno!” rispose l’uomo. “Che posto è mai questo, così meraviglioso?” chiese il viandante. “Questo è il Cielo.” disse l’uomo. “Che bello essere arrivati nel cielo, abbiamo molta sete.” esclamò il viandante. “Lei può entrare e bere a volontà.” disse il guardiano indicando la fontana. “Anche il mio cavallo e il mio cane hanno sete.” fece notate il viandante. “Mi spiace molto, ma qui non è permessa l’entrata di animali.” replicò l’uomo. L’uomo ne rimase assai deluso, perché aveva molta sete, ma non avrebbe mai bevuto da solo. Ringraziò e proseguì. Dopo aver camminato a lungo, ormai esausti, arrivarono in un luogo la cui entrata era segnata da una vecchia porta, che si apriva su di un sentiero sterrato, fiancheggiato da alberi. All’ombra di uno degli alberi, c’era un uomo sdraiato, con il capo coperto da un cappello, che probabilmente stava dormendo. “Buongiorno!” salutò il viandante. L’uomo fece un cenno con il capo. “Abbiamo molta sete, il mio cavallo, il mio cane e io.” continuò il viandante. “C’è una fonte tra quelle pietre.” disse l’uomo indicando un posto, “Potete bere a volontà. L’uomo, il cavallo e il cane si avvicinarono alla fonte e bevvero a volontà. Poi, l’uomo tornò indietro per ringraziare, e chiese: “Come si chiama questo posto?” “Cielo.” rispose l’uomo. “Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era là!” esclamò il viandante. “Quello non è il cielo, quello è l’inferno.” replicò l’uomo. Il viandante rimase perplesso e disse: “Voi dovreste evitarlo! Una tale informazione falsa causerà grandi confusioni!” L’uomo sorrise e disse: “Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché laggiù rimangono tutti quelli che sono capaci di abbandonare i loro migliori amici.”