Opinioni & Commenti
Firenze, dibattito sulla moschea: dove e come?
di Francesco Gurrieri
L’appuntamento era fatale. Firenze, con la sua storia, la sua cultura e la sua vocazione interculturale non poteva e non può sottrarsi all’evento. E forse, proprio per l’humus che l’ha fecondata alla tolleranza e all’accoglienza, dovrebbe condurre questa opportunità nel migliore dei modi, starei per dire in modo esemplare, per se stessa e per altri casi analoghi ben noti nel nostro Paese.
La città non è nuova agli innesti religiosi: basta pensare al Tempio israelitico la Sinagoga , realizzato fra il 1874 e l”82, con progetto di Mariano Falcini, Marco Treves e Vincenzo Micheli; la Chiesa russo-ortodossa, costruita nel 1902 da Giuseppe Boccini e Michail Preobragenski (e ancora in attesa del campanile, nonostante i generosi e prudenti sforzi culturali di quella comunità e del bravo Vincenzo Vaccaro).
Potremmo citare altri casi ma, in definitiva, finiremmo per dire che buoni e tollerati precedenti architettonici e urbanistici ve ne sono. Oggi, invece, sembra si sia esordito con modalità abbastanza discutibili: si presenta un progetto (reso di tutto punto con raffinati rendering che sostituiscono ormai le gloriose prospettive a cui siamo stati professionalmente educati) che è tutt’altro che uno schizzo sommario. Ed allora, sono inevitabili alcune osservazioni che l’amico Izzedin Elzir vorrà perdonarmi: ha senso prospettare un progetto ancor prima di avere un’ubicazione? Una indicazione del piano strutturale? Un esame pregiudiziale degli organi urbanistici preposti? Come si fa a parlare di «ambientazione» se non si sa ancora quale sia l’ambiente circostante? Ed ancora: quanto reso pubblico è così definito che sorte come inevitabile stimolo ad entrar nel merito architettonico e stilistico. Com’è pensabile di proporre un «assemblage» di pezzi presi a prestito dalla facciata di Santa Maria Novella, del portale centrale dell’Alberti, della recinzione con gli «avelli», con la duplicazione di un campanile medievale per evocare i minareti? Sono ingenuità linguistiche che se fosse ancora vivo Bruno Zevi finirebbero sul New York Times! Farei salva invece l’ipotesi di impiegare la dicromia bianco-verde che s’indovina dal rendering: in effetti, gran parte dell’architettura medievale toscana, da Pisa a Pistoia, a Prato e a Siena si caratterizza per quel policromismo di origine islamica e mediorientale.
In fondo il Duomo e il Battistero di Firenze sono davvero il trionfo di quell’orientalismo (per dirla alla Cardini o alla Said). Dunque e infine, il problema della qualità: per un evento così rilevante per la città non si può non pensare a un concorso pubblico.