Firenze

Firenze, Betori: lavoro, attenzione ai giovani e ai poveri per superare la crisi

“Sembra che dovremo attraversare una grave crisi economica, che andrà affrontata avendo a cuore la necessità di creare lavoro per tutti, l’ascolto di istanze e prospettive delle nuove generazioni a cui un giorno verrà consegnata questa città, la preoccupazione perché nessuno sia lasciato ai margini.”queste le parole del cardinale Giuseppe Betori durante la messa nella festa di Pentecoste.

“’L’emergenza – ha dichiarato l’arcivescovo di Firenze – ha generato nuove povertà, anche a Firenze, a cui non sono mancate le risposte della solidarietà, a cominciare dalla Chiesa e dalla sua Caritas. Questo impegno di vicinanza e di cura non dovrà mai venir meno”.

È”importante – ha proseguito- che un progetto nuovo di città apra scenari davvero innovativi che rompano con la città delle rendita, con la disarticolazione dei suoi territori, con la scarsa attenzione alle esigenze della vita sociale. Ma è altrettanto importante che il progetto resti ancorato saldamente alle radici dell’identità storica di Firenze, che il turismo di massa ha rischiato di ridurre a vetrina e non più a humus culturale, staccando il cuore della città dal suo corpo, Molti dei problemi che soffriamo nascono dall’interazione che si è sviluppata tra questi due fattori negativi. Decisivo in questo progetto sarà il modo con cui esso assicurerà la centralità della persona e l’esercizio della solidarietà. I prevedibili minori flussi turistici non possono essere subiti come una minore rendita, ma colti come occasione per ridare spazio alle funzioni di base di una comunità: la conoscenza, le relazioni, i vincoli familiari, la vitalità della società civile, la cura delle persone e dell’ambiente, il lavoro”

 Tutto questo, ha concluso, “senza cancellare il nostro volto, quasi che dovessimo vergognarci della bellezza che ci circonda, ma farne piuttosto motivo di crescita della coscienza identitaria ed etica della convivenza. Non basta guardare ciò che è bello e restarne estasiati, ma occorre capire quali sono stati i valori e i legami che lo hanno generato. Sono gli stessi fondamenti a cui oggi dovremmo attingere. 

Ci sia di insegnamento la cupola sotto cui celebriamo e l’avventura umana e di fede che l’ha generata. Qui torna al centro del nostro futuro il nostro compito di cristiani, perché la fede non fu ai margini dello splendore che abbiamo ereditato, ma ne fu la scintilla e la fucina. Come ha ben mostrato Sergio Givone, solo l’aver posto come termine l’infinito permise a Filippo Brunelleschi di sfidare l’opera ritenuta impossibile e di creare questo vasto cielo, e questo perché riconobbe nell’infinito una icona della verità, una finestra aperta sull’unica realtà vera, la gloria di Dio. Siamo ancora capaci di tali altezze? Dobbiamo sperarlo e invocarlo, se davvero crediamo nella forza dello Spirito di Dio.”