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FIERA DEL LIBRO; CARD. RUINI: PERCHÉ È DANNOSO ESCLUDERE IL CONTRIBUTO DELLA RELIGIONE DALLA VITA SOCIALE E PUBBLICA

“Il rapporto tra teologia e cultura è stato fondamentale nel passato, sia per la teologia, e più ampiamente per il cristianesimo e la sua espansione missionaria, sia per la cultura, o meglio per le varie culture e civiltà nelle quali il cristianesimo si è inserito e che ha esso stesso in larga misura plasmato o anche generato”: con questo pensiero il card. Camillo Ruini ha aperto, questa mattina a Torino presso la Fiera internazionale del libro, la sua relazione su “Teologia e cultura, terre di confine”. “Sappiamo bene – ha proseguito – come non solo questo primato ma il rapporto stesso tra cristianesimo e cultura, teologia e cultura, sia progressivamente entrato in crisi fin dai primi inizi dell’epoca moderna, a partire da quella che è stata chiamata la ‘svolta antropologica’, che ha posto l’uomo al centro, oltre che dalla nascita della scienza detta ‘galileiana’ e dalle guerre di religione europee, che hanno reso in qualche modo necessario concepire e gestire la sfera pubblica etsi Deus non daretur”.

Di fronte alla critica moderna al cristianesimo, “che si conclude nella negazione della divinità di Cristo e dell’esistenza stessa di Dio, con la riconduzione dell’uomo a un semplice essere del mondo”, sottolinea Ruini citando “la parabola storica che va da Hegel a Nietzsche”, “il secolo XIX è anche il tempo nel quale il cristianesimo occidentale ha preso piena coscienza della radicalità di questa minaccia ed ha cercato di reagirvi”, a partire dal Concilio Vaticano I e poi, più profondamente nel XX secolo, con il Concilio Vaticano II. Sviluppi positivi si sono avuti, a questo riguardo, nei “rapporti con le scienze empiriche e con le scienze storiche” sino a quello “delle relazioni tra la Chiesa e le istituzioni politiche. Su questi versanti – annota il cardinale – Benedetto XVI rileva che non mancano positivi sviluppi, come la maggiore consapevolezza acquisita dalle scienze empiriche dei limiti intrinseci ai loro metodi o come la percezione diffusa che escludere il contributo della religione dalla vita sociale e pubblica risulta dannoso per la società stessa e alla fine anacronistico”.

Dopo il venir meno della “convinzione del primato culturale del marxismo”, ha detto poi Ruini nella parte centrale della sua relazione, nei decenni più recenti “sono intervenute però novità importanti, non solo negli atteggiamenti dello spirito ma nei fatti della storia”. Ha così sottolineato “l’emergere della nuova ‘questione antropologica’ e delle connesse problematiche di ‘etica pubblica’, a seguito di quegli sviluppi delle scienze e delle biotecnologie che hanno reso possibili interventi diretti sulla realtà fisica e biologica del nostro essere, come anche ai grandi mutamenti degli scenari mondiali, che hanno una loro data emblematica nell’11 settembre 2001 ma che riguardano assai più ampiamente il rapido affermarsi di grandi nazioni e civiltà sempre meno disposte ad accettare il predominio dell’Occidente”. Ruini a questo punto ha parlato anche di “sviluppi di segno molto diverso, con un forte ricupero del senso religioso e con il declino dell’idea che la secolarizzazione sia un processo irreversibile, destinato a portare, se non alla scomparsa, all’irrilevanza della religione, almeno in Occidente e a livello pubblico. La ragione intrinseca di tale declino sta anzitutto nell’incapacità di rispondere, da parte di una cultura secolaristica, alle domande fondamentali e concretamente ineludibili sul senso e la direzione della nostra esistenza”.

Riflettendo sul “recupero del senso religioso”, Ruini ha poi sottolineato che “soprattutto a partire dall’11 settembre 2001 si è aggiunta un’altra motivazione, legata alla percezione diffusa della minaccia che sembra provenire dalla deriva fondamentalista dell’islamismo: questa percezione ha orientato il risveglio del senso religioso ad assumere un più preciso profilo identitario cristiano e, in un Paese come l’Italia, cattolico”. “Si tratta di un fenomeno – ha detto – ampiamente presente e fortemente sentito nelle popolazioni, ma che sta assumendo grande rilievo anche sul piano della cultura pubblica”. Ciò lascia spazio al fenomeno, già indicato dal card. Ratzinger, del prodursi di una “’cultura della fede’, la cui caratteristica è di non appartenere a un popolo singolo e determinato, ma di poter sussistere in ogni popolo o soggetto culturale, entrando in relazione con la sua cultura propria ed incontrandosi e compenetrandosi con essa. Questa è in concreto l’unità e insieme la molteplicità e l’universalità culturale del cristianesimo”.

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