Pisa

«Festagiovani» diocesana

di Andrea Bernardini

Un campo sportivo, due ragazzi che giocano a palla: Paolo Benotto e Giovanni Santucci. «Ho sempre corso poco per i campi» confessa l’arcivescovo. E quella appena proiettata è una foto «storica»: perché lo «immortala» in un gesto a lui non molto familiare e perché suo compagno di gioco è l’attuale vescovo di Massa Marittima – Piombino. È l’arcivescovo che non ti aspetti quello che si presenta sabato scorso alla Festagiovani diocesana tra duecento under ’30 convenuti nel cinema-teatro Valgraziosa di Calci.Ancora convalescente dopo una operazione ad un occhio, monsignor Giovanni Paolo Benotto non è voluto mancare all’abbraccio con i giovani della sua diocesi.set somiglia a quello de «Il senso della vita», la fortunata trasmissione di Paolo Bonolis su Canale 5, in cui il conduttore «incalza» il protagonista che racconta la sua vita commentando alcune immagini.E di immagini significative sullo sfondo del palco ne passano diverse: quelle della gioventù vissuta a Ripafratta ed in seminario gli offrono, tra l’altro, l’occasione per parlare della sua vocazione. «Galeotto» fu lo scambio con l’insegnante di italiano e latino: a Paolo Benotto, ragazzo impegnato in parrocchia e nell’Azione cattolica, che faceva di tutto per sottolineare la sua identità, l’insegnante disse: «Ma tu sei veramente cristiano? Se tu lo fossi saresti missionario». Quella frase costrinse il giovane studente liceale a mettersi in discussione, a cercare le ragioni della sua scelta di campo. Un discernimento che… continuò in Seminario («se non avessi scelto gli studi teologici mi sarei invece iscritto alla facoltà di architettura»): mettendovi piede «non rinunciai a niente di quello che ero, semplicemente scelsi di mettere nelle mani di Dio i doni che mi aveva dato». Fino alla ordinazione sacerdotale, il 28 giugno del 1973 – in uno «scatto» si riconoscono l’arcivescovo di allora Benvenuto Matteucci e l’arciprete del Duomo monsignor Barsotti. E poi la prima messa nella chiesa parrocchiale a Ripafratta. L’arcivescovo riconosce, in una immagine, don Mario Maracich, parroco di quella comunità dal 1949 – anno in cui monsignor Benotto è nato – al 2006. I genitori, punto di riferimento costante per la sua vita, che lo accompagnarono a Oratoio dove don Paolo prestò servizio come parroco per tredici anni. Appunto, l’esperienza di parroco a Oratoio. Sullo sfondo del palco è proiettata l’immagine di un campo estivo fatto con i «suoi» ragazzi e l’arcivescovo racconta dello scherzo di cui fu «vittima»: il grande dolce di cartone presentato sotto i suoi occhi per festeggiare il suo compleanno. E poi l’immagine che più volte anche noi di «Toscana Oggi» abbiamo pubblicato: lo ritrae in Duomo mentre saluta. Saluta chi? «Oggi ve lo posso dire, i giovani di Tivoli». E uno «scatto» della Gmg vissuta tra i giovani pisani la scorsa estate a Marina di Pisa.Incalza Gianluca Ceccanti, che commenta quelle immagini insieme all’arcivescovo: più difficile essere parroco o vescovo? Monsignor Giovanni Paolo Benotto ricorda che prete e vescovo hanno un minimo comune denominatore: il senso di paternità. L’unica differenza è che questa paternità, da vescovo, la si esercita anche su tutti i preti, anche su quelli che – dice rivolgendosi a don Mirio Coli, 79 anni, parroco di Campo – per età potrebbero essere miei padri. Ancora: le foto dell’incontro con Giovanni Paolo II: siamo nel gennaio del 1982 e monsignor Benotto è insegnante del Seminario «Santa Caterina»; e di quello con Benedetto XVI, in occasione della visita ad limina del 9 dicembre 2007: allora era vescovo di Tivoli «e mi sorprese come Benedetto conoscesse bene non solo la situazione, ma anche molte delle persone della diocesi tiburtina». Ricordando come, il 1 aprile del 2005, dunque alla vigilia della morte di Giovanni Paolo II, casualità (o provvidenza?) volle che i due si fossero già incontrati a Subiaco, dove il cardinal Ratzinger aveva ricevuto il premio «San Benedetto». Ed oggi, se incontrasse di nuovo Benedetto XVI come gli parlerebbe della diocesi di Pisa? gli ha chiesto Gianluca. «Gli racconterei le tante ricchezze della nostra diocesi. Ricchezze da mettere in movimento» la risposta dell’arcivescovo.Sul palco, durante la lunga intervista, si alternano tre giovani cresciuti alla scuola di Michele Del Pecchia: Simona Cerrai, una voce particolarmente ricca, Samanta Battini e Giulio Costantino. Trascinano i giovani in brani nuovi e nuovissimi. L’arcivescovo applaude. Poi è il momento di entrare nel tema caldo della serata: in una società dai mille problemi – manca il lavoro, i riferimenti culturali sono «vacui» etc… – c’è ancora spazio per la speranza dei giovani? «Ogni generazione si ripete la stessa domanda di senso – osserva l’arcivescovo – che senso abbia, cioè, la nostra vita». Certo, oggi, la «soglia della speranza si è molto abbassata» e i giovani tendono ad accontentarsi del piccolo cabotaggio. Ma «uno che cerca il minimo, non sarà mai soddisfatto». Ed invece occorre puntare in alto, coltivare la Speranza con la «s» maiuscola, coltivando, di fatto, il proprio rapporto con Gesù.Dall’arcivescovo un altro invito ai giovani: «imparate a pensare con la vostra testa e ad amare con il vostro cuore» osservando come troppo spesso c’è chi vuol indurre le nuove generazioni a pensare con la testa degli altri e a comportarsi, così, di consequenza.A conclusione del talk-show i ragazzi donano a monsignor Benotto un nuovo computer… così il filo diretto avviato potrà continuare anche attraverso l’uso della posta elettronica.